Nel mondo antico si era soliti indicare tramite gli animali concetti e sentimenti, ma anche identificare le divinità stesse: così per esempio nel pantheon egizio Bastet, la gatta, simboleggiava il calore benefico del sole in contrapposizione a Sekhmet, la leonessa, suo aspetto virulento e mortale; Apis, il toro, era la potenza generativa, mentre Horus, il falco, era il vincolo di comunione con le forze cosmiche solari... Per i Greci invece gli animali erano simboli degli dèi stessi: ecco la civetta di Atena, l’aquila di Zeus, il cervo di Artemide, il pavone di Era...
Tra i più nobili ed eleganti animali, il cavallo, è intimamente legato al simbolismo greco della luce; lo si trova infatti aggiogato al carro solare di Elio (che percorre i cieli accompagnato dalle Ore) o di Apollo, di Fetonte o di Aurora, o ancora di Poseidone, a seconda di quale mito venga narrato. Ma cavalli divini sono citati anche nelle Sacre Scritture: ecco i cavalli di fuoco (2 Re, 2 - 11) dai bagliori di fiamma che trasportano Elia, il profeta, in cielo, sotto gli occhi sgomenti di Eliseo; ecco i quattro destrieri (1) dell’Apocalisse (cap. 6), montati da altrettanti cavalieri o angeli del castigo recanti i quattro flagelli: il primo cavallo è bianco, segno positivo di vittoria e di dominio; il secondo è rosso fuoco, segno di guerra e dell’ira di Dio (ha a che fare con il Male); il terzo è nero, segno di carestia, ingiustizia e di morte; il quarto è verdastro, cadaverico segno di peste e di tremende epidemie (nel simbolismo biblico il verde è collegato alla morte: la vita vola via, passa come un soffio, è come erba secca nel deserto). Secondo l’interpretazione di insigni esegeti invece, il primo cavaliere sul cavallo bianco sarebbe Cristo vincitore, proprio come in 19, 11 in cui il bianco è attributo di santità ed eternità: e gli eserciti che sono in cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di vesti di bisso bianco puro. È il Re dei Re, il Verbo di Dio. Ecco di nuovo, anche nell’iconografia cristiana, la connessione animale-dio divenire simbolo del dio stesso: il cavallo qui è il Cristo, proprio come nelle catacombe di Callisto e Domitilla a Roma, in cui è accompagnato dalla palma e dal monogramma.
Non deve perciò stupire che imperatori, condottieri ed eroi furono da sempre immortalati tanto spesso in monumenti equestri (2), poiché fama riveste colui che cavalca questo nobile animale, simbolo di luce e vittoria: pensiamo anche a quanti Santi sono raffigurati a cavallo! Michele – patrono dei cavalieri –, Giorgio, Eustachio, Uberto, Martino e persino Saulo – Paolo (disarcionato nella celebre scena della conversione sulla via di Damasco, come dipinto da Michelangelo, dal Caravaggio, dal Garofali e dallo Zuccari, etc.) non sono che alcuni esempi.
Sempre ripercorrendo con la memoria il fantastico mondo della mitologia, passando tra Vittorie alate e Pegasi, tra i cavalli sacri a Marte e le cavalle di Diomede domate da Ercole, ci si imbatte nei Centauri dal busto umano e dalla groppa equina, esseri dominati dagli istinti, lussuriosi e violenti: i Cristiani medioevali li avrebbero così caricati di una valenza negativa, attribuendo loro l’emblema della forza bruta e del desiderio carnale incontrollato. Invece Chirone, il più famoso dei Centauri, primo medico, saggio e dottissimo educatore di dèi ed eroi, ispirò ben altri pensieri: divenne infatti simbolo del cavaliere medioevale che domina e frena gli impulsi, ordinandoli al Cristo sotto il segno della Carità. Chirone – narra la leggenda – fu ferito involontariamente dall’amico Ercole: lunga e penosa fu la sua agonia, tanto che Zeus ne ebbe pietà e decise di liberarlo ponendolo in cielo tra le costellazioni, col nome di Sagittario. Nell’area francese i Cristiani lo assunsero come simbolo del Cristo combattente, ispirandosi ancora al cavaliere bianco dell’Apocalisse, i cui dardi colpiscono i demoni o i fedeli, che attraverso la sofferenza impareranno a imitare il loro Signore.
Altro animale affascinante, nato dalla fantasia dell’uomo, è il bianco cavallino dotato di un mitico corno invincibile capace di guarire quasi tutti i mali, che fa bella mostra di sé in tanti celebri quadri o arazzi rinascimentali: l’unicorno (anche liocorno o alicorno). Dobbiamo al racconto di Ctesia, medico greco del re persiano Artaserse, la descrizione di questo straordinario quanto improbabile animale dagli occhi blu, proveniente dal centro Asia: a geografi e naturalisti come Claudio Eliano e Plinio non rimase che il piacere di arricchire i resoconti di viaggiatori e mercanti spintisi fino in India o in Tibet, dove ancor oggi per la verità vive un’antilope (Antholops Hodgsoni) dotata di due corna diritte che osservate di profilo paiono uno solo.
Di questo unicorno (il monòkeros, animale forte e sconosciuto, rielaborato dall’ebraico re’em, Alessandria, terzo secolo, vedi in Traduzione dei Settanta dell’Antico Testamento) il Fisiologo, autore del primo bestiario cristiano, dà un’interpretazione allegorica, paragonandolo a Cristo. Esisteva persino una “sacra caccia” attuata per catturare questo essere (che curiosamente non si ritrova nelle narrazioni mitologiche classiche), cui è sovrapponibile il simbolismo dell’intera storia della Salvezza. Dato che nessun cacciatore poteva domare questo incredibile animale, una giovane vergine veniva portata nei luoghi da esso abitualmente frequentati: non appena scortala, l’unicorno le si sarebbe avvicinato posando teneramente il muso sul grembo. Tra dolci carezze, una volta addormentatosi, la cattura non avrebbe più mostrato difficoltà. Naturalmente da questa storia è nata l’idea di far assurgere l’unicorno a simbolo della Castità (la vergine per eccellenza è Maria), della vita monastica (dato l’amore dell’animale per la vita solitaria) e del perfetto cavaliere medioevale, fiero, orgoglioso e cortese con le dame.
Un’ulteriore leggenda si aggiunge a quella citata: quando al tramonto gli animali si radunano per dissetarsi sulle rive di un lago, avvelenato però da un serpente, solo l’unicorno entrando in acqua e facendovi il segno della croce con il corno annulla l’effetto del veleno. Ecco pertanto il diavolo – serpente e le acque avvelenate – i peccati del mondo ancora una volta sconfitti dal Corno-Croce di Redenzione (nota 3).
In moltissimi bestiari o codici miniati, su capitelli o portali di cattedrali è riportata l’immagine di questo animale allegorico. Ma ripensando ai racconti che lo vedono protagonista non si può evitare una riflessione: come è pensabile che la Vergine Maria si presti a ingannare deliberatamente il Suo divino Figlio? È plausibile forse allora ipotizzare una sovrapposizione di narrazioni, ripercorrendo certe storie medioevali (Giovanni da S. Gimignano, Filippo di Thaun, Alberto Magno...) in cui viene più volte sottolineato che la vergine deve essere nuda, profumata e legata a un albero: ecco forse spiegata la doppia natura dell’unicorno, che per esempio è da Leonardo da Vinci considerato addirittura emblema della sensualità e dell’intemperanza.
Anche per questo animale si può così parlare di un duplice simbolismo: rivelatore di veleni o di purezze, Demonio o Salvatore?
© all rights reserved