Non esiste tradizione religiosa che non annoveri il ruolo degli angeli, o comunque creature celesti, non così tanto dissimili da quelle che ci sono più familiari.
Gli esseri soprannnaturali che operano nel cielo e sulla terra al servizio di Dio, vanno sempre distinti dagli spiriti o dai demoni che vagano sulla superficie terrestre o per l’aria: infatti mentre questi ultimi si ritrovano praticamente in tutte le religioni, anche animistiche, gli angeli veri e propri sono caratteristici di quelle religioni che pongono la sede della loro divinità nel cielo (cosa che appartiene prevalentemente alle forme monoteistiche), cui ritengono di dover dare una corte di ministri e ambasciatori celesti.
Nelle tradizioni orientali il termine deva, che deriva dal sanscrito “essere di luce”, ha la sua radice etimologica in “dyaus”, che potremmo tradurre con “piccola divinità”: “deva” dunque indica una sorta di divinità minore, spesso legata alle forze della natura od alla custodia dei luoghi (isole, monti, acque). In India tutt’oggi l’universo è concepito come una gerarchia di forze perennemente in azione ed è frequentissimo ritrovare una moltitudine indescrivibile di questi esseri secondari accanto agli dèi e alle dee dei templi ove accorrono schiere di fedeli. E nella letteratura hindù parimenti sono facili gli incontri con fate e mostri, geni e ninfe, divinità dell’aria e demoni della terra.
Nel Parsismo o Zoroastrismo d’altra parte tutto il mondo degli esseri spirituali era diviso in due partiti accentrati attorno a due capi, per loro natura diversi e opposti: Ormazd, il dio buono, attorniato dagli Amesha spenta (santi immortali) e dalle Fravashi (nota 1) che formano le schiere di tipo angelico, e Ahriman, lo spirito cattivo con i suoi “daêva” o demoni.
Anche il Buddhismo e il Brahamanesimo prevedono una serie di creature intermediarie amiche od ostili all’uomo; in Birmania e in Pakistan si chiamano nats: sono innumerevoli, vivono accanto e dentro l’uomo.
Dalla sintesi degli elementi Assiro-Babilonesi e Persiani deriva probabilmente l’angelologia ebraica: in essa tutto è funzionale alla gloria da rendere a Jahvé, per la misericordia, la giustizia e la potenza che riversa sul Suo popolo. Nessun dubbio sul fatto che Jahvé sia completamente al di sopra di tutti gli esseri: anche gli angeli, infatti, per quanto possano comprendere più che qualunque altra creatura la gloria del Signore, non possono comunque eguagliarla. Altro concetto fondamentale riscontrabile nella letteratura rabbinica è che il solo Jahvé è da considerarsi il vero Salvatore, mentre i Suoi angeli possono unicamente prestare il loro servizio in modo secondario: Dio stesso infatti per es. scende a liberare Abramo dalla fornace (vedi Talmud) impedendo di farlo a Gabriele, o come per es. ancora viene solennemente proclamato nell’Haggadah di Pasqua: E passerò nella terra d’Egitto; io, e non un angelo; e colpirò ogni primogenito: io, e non un serafino; e di tutti gli dei dell’Egitto farò giustizia: io, e non l’inviato; io, il Signore io stesso e non un altro. Anche gli angeli dal canto loro non mancano di riaffermare continuamente la loro limitatezza al confronto della trascendenza divina. Essi formano il “popolo dei santi” e sono detti “angeli del servizio”; esiste anche “l’angelo della morte”, che comunque riveste un’importanza minore rispetto a Mosé, colui che parla faccia a faccia con Dio. Non mancano nemmeno gli angeli protettori di Israele (Michele e Gabriele) e dell’Egitto (Uza, che interviene se pure invano contro Michele per impedire la liberazione degli Ebrei), l’angelo del mare, gli angeli custodi dei bambini (si dice per es. che fu Gabriele stesso a colpire Mosé neonato per farlo piangere, in modo da attrarre l’attenzione della figlia del faraone). Gli angeli in versione rabbinica hanno poi una prerogativa curiosa: per es. mormorano contro Dio quando Egli rivela la Sua idea di fare l’uomo a Sua immagine e somiglianza, o quando la Legge viene donata ad Israele o quando ancora Jahvé fa cadere la Sua benedizione su Abramo. Le celesti creature insomma non sanno celare un certo disappunto per i privilegi accordati all’umanità! Infine ritroviamo gli angeli, quali servitori nel giardino dell’Eden, al momento dell’evento escatologico, quando cioè verrà imbandita la mensa divina: anche gli empi potranno partecipare a quella benedizione e proprio gli angeli consentiranno loro di entrare in Eden. Ancora a loro sarà demandato il compito di esortare il popolo di Israele a non temere il Santo, quando sarà al Suo cospetto: Dio è il loro padre e l’alleanza avrà il sopravvento sulla mera condanna.
Dal giudaismo la fede negli angeli passò anche all’Islam, che li crede esseri superiori agli uomini ma infinitamente inferiori a Dio, dal quale sono stati creati. Il Corano (nota 2), libro sacro e fondamento dell’Islam, distingue tre specie di esseri invisibili: gli angeli, i geni (ginn) ed i demoni (sayâtîn). Tra queste creature non esistono differenze di natura, ma piuttosto di grado, funzione, attributi. I demoni sono sessuati e a causa della loro natura ignea si moltiplicano con gran velocità; Iblis, l’angelo che ha rifiutato di inchinarsi davanti ad Adamo, la creatura nata dalla morbida argilla, il satana biblico insomma, ha una sposa (nata dalla collera) e una discendenza molto attiva nel suscitare tentazioni, seduzioni e nel fuorviare la razza umana. I ginn (Corano 55, 15) “creati dalla fiamma purissima” per adorare Dio, furono i primi abitanti del nostro pianeta. Quando però si allontanarono dalle divine indicazioni, un esercito di angeli li cacciò ai confini della terra: vi si annidarono ovunque (nelle pietre, nei deserti, nei boschi, nelle cavità delle sorgenti, negli alberi) ed è assai importante propiziarseli, compiendo sacrifici per loro (irritandoli infatti si rischia di venir colpiti da eventi sgradevoli e funesti: epidemie, follia e sterilità per es.). Nella sura 46 (29-32) sono presentati come spiriti sottili ma ragionevoli; si nutrono di odori e possono persino unirsi carnalmente agli esseri umani. Appaiono dunque più facilmente derivabili dalle antiche demonologie politeiste arabe preislamiche che non dalla demonologia musulmana. Per capire davvero il significato attribuito agli angeli dell’Islam, dobbiamo comunque per forza aver chiaro che ciò che predomina in questa visione del mondo è inderogabilmente questo: la fonte dell’essere, il Principio, è al di là dell’essere, assolutamente impredicabile e ineffabile; di Lui non si può pronunciare alcun nome: è l’Uno e l’unificatore. Da questo Principio viene ad esistere (nota 3) il Verbo primordiale (il primo arcangelo): Al-Lah, da cui procede la seconda intelligenza cherubinica. Dalla loro congiunzione emana poi una terza intelligenza che segna l’inizio del grande dramma del cielo: ecco infatti l’Adamo metafisico che provoca da un lato la catastrofe, dall’altro la salvezza. Quindi dal primo articolo di fede per il musulmano (l’unicità di Dio) si passa alla credenza negli angeli: l’Uno si chiude in sé come un assoluto e dai primi due cherubini procedono altre sette intelligenze. Ecco che l’angelologia permette di spiegare la manifestazione dell’Essere unico nel molteplice e che la gerarchia celeste diviene supporto dei novantanove nomi e degli attributi divini.
Non è questa la sede per approfondire le dottrine islamiche che, dal IX al XII sec., si svilupparono grazie a illustri pensatori e filosofi quali Ibn’Arabî (sunnismo), Avicenna (sciismo iraniano) e Sohravardi (misticismo iranico): basti qui ricordare che le loro speculazioni offrono una conoscenza non solo teorica, ma anche salvifica, in quanto operante una trasmutazione interiore dell’uomo. Per il mistico l’angelo svolge la funzione di maestro, pedagogo; è la personalità trascendente che l’individuo umano tenta di recuperare durante il pellegrinaggio terreno; è insomma una teofania personale, poiché l’uomo per conoscere il proprio doppio celeste deve abbandonare tutto ciò che non è se stesso e ritrovare il suo polo spirituale (nota 4). Il Corano e la Sunna precisano che gli angeli, creature munite di parola, vita ed intelligenza, non hanno sesso, possiedono ali doppie/triple/quadruple, sono di natura ignea e luminosa, sono sottomessi alla volontà di Dio e si nutrono della Sua contemplazione, agiscono sulle forze e sugli elementi della natura, sono divisi in sette cieli e formano un esercito. Il vocabolo islamico mala’ika corrisponde essenzialmente al plurale del semitico mala’ak, messaggero: ecco che queste creature condividono parecchie delle molteplici attività angeliche della religione cristiana (pregano Allah, sorreggono il Suo trono, sono guardiani del Libro e lo portano agli uomini, aiutano i credenti, stanno a coppie a fianco di ogni uomo e ne trascrivono ogni azione, accolgono e puniscono i peccatori, pregano per il profeta e per gli uomini, chiedono perdono a Dio per gli uomini... fanno quindi da intermediari tra Dio e l’uomo, per farlo salire a Lui).
Gli angeli più noti sono: Ijbra’il (Gabriele), il guardiano del Paradiso, provvisto di sei ali (nota 5) dalle quali ne escono altre migliaia dai colori sfolgoranti, messaggero per eccellenza, “Spirito santo”, la “grande Legge”, colui che rende intelleggibile al profeta (nota 6) il messaggio coranico; Mika’il (Michele), maestro della sapienza e della conoscenza delle anime, risiedente nel settimo cielo dove non può esser descritto; Izrael (Azrael), l’angelo della morte, che arresta il movimento della vita e separa l’anima dal corpo, in ottemperanza al volere divino; Israfil, che introduce nelle creature il soffio emesso dallo Spirito e trasmette gli ordini divini: possiede quattro ali e con forti squilli di tromba annuncerà il giorno del giudizio.
Un cenno anche al contributo originale del mistico Ibn Maja, secondo il quale gli angeli, sostanza semplice creata dalla luce, sono santificati dai desideri carnali e dai tumulti della rabbia; non disubbidiscono mai a Dio; la loro fame riguarda la celebrazione della gloria divina e la loro sete la proclamazione della Sua santità; la loro conversazione consiste nel ricordare Dio e nell’esaltare il Suo nome; la loro gioia sta nell’adorazione. Anche l’Islam (nota 7) quindi ci propone una figura di angelo essenziale e importante: senza il suo apporto l’uomo è incapace di elevarsi verso il cielo, restando anzi prigioniero dei meandri ombrosi del mondo sensibile, smarrendosi nel deserto dell’incerto e dell’inconoscibile.