Con il termine religione si intende il complesso delle relazioni che ordinano l’uomo a Dio.
Sposando l’idea di Cicerone, la provenienza del vocabolo risalirebbe alla radice ‘leg’, che indica ‘raccogliere, riunire, osservare, contare’, motivo per cui si attribuisce al termine il significato di ‘osservare i segni di comunicazione divina’; con Servio invece, che avvalorava la derivazione dalla radice ‘lig’, ossia ‘legare’, religio avrebbe il senso di ‘legame, relazione, comunione tra l’umano e il sovrumano’. In ogni caso la funzione principale della religione resta sicuramente quella di completare la vita degli uomini.
Sposando l’idea di Cicerone, la provenienza del vocabolo risalirebbe alla radice ‘leg’, che indica ‘raccogliere, riunire, osservare, contare’, motivo per cui si attribuisce al termine il significato di ‘osservare i segni di comunicazione divina’; con Servio invece, che avvalorava la derivazione dalla radice ‘lig’, ossia ‘legare’, religio avrebbe il senso di ‘legame, relazione, comunione tra l’umano e il sovrumano’. In ogni caso la funzione principale della religione resta sicuramente quella di completare la vita degli uomini.
Data la molteplicità delle classificazioni esistenti delle varie religioni, trovo che sia ancora interessante accogliere il suggerimento di Gerardus van der Leeuw, docente di Storia delle religioni, Teologia e Filosofia egiziana presso l’Università di Gröningen dal 1918 al 1950, che, nel tentativo di comprensione della religione, sia nella sua immensa ricchezza di patrimonio culturale, sia nell’appello della fede che da essa è rivolta all’umanità, proponeva una schematizzazione generale in questi termini:
classificazione delle religioni secondo le seguenti categorie:
religioni della lontananza e dell’elevazione,
religioni della lotta,
religioni della quiete,
religioni dell’inquietudine,
religioni dello sforzo e della forma,
religioni dell’infinito e dell’ascetismo,
religioni del nulla e della compassione,
religioni della volontà e dell’ubbidienza,
religioni della maestà e dell’umiltà,
religione dell’Amore;
religioni della lontananza e dell’elevazione,
religioni della lotta,
religioni della quiete,
religioni dell’inquietudine,
religioni dello sforzo e della forma,
religioni dell’infinito e dell’ascetismo,
religioni del nulla e della compassione,
religioni della volontà e dell’ubbidienza,
religioni della maestà e dell’umiltà,
religione dell’Amore;
classificazione dei fondatori di religioni:
il riformatore,
il maestro,
il filosofo e teologo,
l’esempio,
il mediatore;
il riformatore,
il maestro,
il filosofo e teologo,
l’esempio,
il mediatore;
classificazione dell’esperienza religiosa:
evitare Dio,
servire Dio,
stipulare patti con Dio,
essere amici di Dio,
conoscere Dio,
seguire Dio,
essere ricolmi di Dio,
misticismo,
conversione e rinascita.
evitare Dio,
servire Dio,
stipulare patti con Dio,
essere amici di Dio,
conoscere Dio,
seguire Dio,
essere ricolmi di Dio,
misticismo,
conversione e rinascita.
Vale la pena anche citare un ulteriore tentativo di comparazione ideato da Kenneth Saunders, che nel suo libro 'Ideals of East and West', si interroga su quale sia l’uomo ideale che ogni gruppo umano si propone di imitare:
popolo o gruppo umano > ideale umano che esso ammira
Greci (Platone) > l’uomo bello e virtuoso (Kalos kai Agathos)
Greci (Aristotele) > l’uomo intellettualmente superiore, che si dedica alla contemplazione dell’universo
Stoici > l’uomo saggio dotato di autocontrollo
Cinesi > l’uomo regale
Giapponesi > il guerriero disciplinato (Samurai)
Ebrei > l’uomo giusto
Romani > il guerriero disciplinato, leale, misurato e concreto, predisposto alla ‘virtus’ (‘Vir bonus’)
Inglesi > il gentleman
Spagnoli > il gentilhombre
Tedeschi > l’uomo che ha il senso della propria dignità
Indiani > l’asceta (Sadhu)
Islamici > l’uomo completamente sottomesso ad Allah (Muslim)
Cristiani > il santo (ripieno dello spirito di Cristo, tenta di trasformare il mondo e non si sente estraneo ad esso)
Greci (Platone) > l’uomo bello e virtuoso (Kalos kai Agathos)
Greci (Aristotele) > l’uomo intellettualmente superiore, che si dedica alla contemplazione dell’universo
Stoici > l’uomo saggio dotato di autocontrollo
Cinesi > l’uomo regale
Giapponesi > il guerriero disciplinato (Samurai)
Ebrei > l’uomo giusto
Romani > il guerriero disciplinato, leale, misurato e concreto, predisposto alla ‘virtus’ (‘Vir bonus’)
Inglesi > il gentleman
Spagnoli > il gentilhombre
Tedeschi > l’uomo che ha il senso della propria dignità
Indiani > l’asceta (Sadhu)
Islamici > l’uomo completamente sottomesso ad Allah (Muslim)
Cristiani > il santo (ripieno dello spirito di Cristo, tenta di trasformare il mondo e non si sente estraneo ad esso)
Le religioni dunque riguardano credenze, cioè idee che gli uomini si fanno intorno alla natura della realtà terrena e ultraterrena. Il sociologo prende queste credenze come dati di fatto che è necessario spiegare nella loro genesi. Egli non si chiede se queste credenze siano vere o false, perché esse hanno a che fare con una realtà non empirica che sfugge agli strumenti della conoscenza scientifica.
Gran parte di quello che tutti noi pensiamo di sapere è una ‘credenza’ (‘credere in’) contestuale. Spesso per eseguire attività ordinarie (microscelte vitali) ci serviamo di forme fiduciarie di conoscenza, che hanno una natura implicita, adattiva, e, dato che usiamo continuamente frame aperti – distinzioni cognitive che si combinano e si intersecano tra loro –, siamo in grado di apprendere. Si ritiene che utilizzare determinati mezzi per raggiungere certi fini sia una sequenza di azioni ‘razionale’; quando invece si ha a che fare con le religioni, bisogna considerare che esse sono articolazioni razionali attorno a un nucleo non razionale: vi si aderisce infatti per mezzo della fede e non di altre facoltà intellettuali.
Tutte le religioni sono insiemi di credenze (sistemi di idee, relative al Sacro e al profano e anche a realtà ultraterrene, soprannaturali, sovrasensibili) da cui derivano linee-guida di comportamento rivolte ai loro fedeli. Anche se i concetti di ‘credenza’ e ‘conoscenza’ possono sfumare l’uno nell’altro, vale la pena di sottolinearne la diversità intrinseca, poiché ‘credere’ o ‘sapere’ qualche cosa riguardo a un determinato argomento può far raggiungere differenti gradi di certezza su una specifica realtà e, allo stesso modo, consentire altrettanti margini di dubbio. Certamente credere in Dio resta, a tutte le latitudini del pianeta, un atto di fede, non un’operazione di mera conoscenza.
Si affaccia allora un concetto operativo specifico: quello di Homo religiosus che – come lo ha definito l’antropologo religioso Julien Ries – è caratterizzato dalle sue credenze, ma manifesta la propria esistenza concreta lasciando la sua impronta sulla cultura e agendo nel corso della storia. Tale Uomo, a partire dalla preistoria – avendo scoperto il numinosum (divino) – crede nell’esistenza di una realtà invisibile, misteriosa e trascendente rispetto a quella percepibile, terrena e mortale. Se è evidente che non tutti gli uomini nutrono sentimenti religiosi, non sono invece mai esistite società umane che non abbiano sviluppato qualche forma di religione, il che fa concludere che il fenomeno religioso sia di portata pressoché universale.
Volendo delineare i tratti fondamentali dell’esperienza religiosa si possono evidenziare:
l’esperienza del limite, ossia della consapevolezza dell’uomo che la morte faccia già parte della sua vita; tale idea permette tuttavia anche di concepire quella di ‘assenza del limite’ e dunque di postulare l’esistenza di un mondo di cose mortali e di un mondo di cose immortali, in cui alberghino gli dèi, gli spiriti, le anime. Le religioni contribuiscono in larga parte a contenere entro limiti tollerabili la soglia dell’angoscia derivata dalla certezza di morire;
l’esperienza del caso, ossia del confrontarsi continuo dell’uomo con la sua incapacità di darsi spiegazioni (per lo più parziali e provvisorie) circa gli eventi naturali, sociali e individuali che interferiscono con la sua esistenza. Anche in questo caso è possibile concepire l’esistenza di un ‘ente’ onnisciente, che invece non sia sottoposto a tali limitazioni, cui ricondurre l’ordine delle cose naturali e umane.
Intrinsecamente connessa all’esperienza religiosa è la questione dell’ordine morale, che discende dalla necessità di effettuare scelte, non solo in base a criteri utilitaristici, ma anche legate alla dimensione del Bene e del Male. Tutte le religioni pertanto, comportando elementi prescrittivi o normativi, in forma di ‘comandamenti’ più o meno espliciti, soddisfano i bisogni sia degli individui che della società.
l’esperienza del limite, ossia della consapevolezza dell’uomo che la morte faccia già parte della sua vita; tale idea permette tuttavia anche di concepire quella di ‘assenza del limite’ e dunque di postulare l’esistenza di un mondo di cose mortali e di un mondo di cose immortali, in cui alberghino gli dèi, gli spiriti, le anime. Le religioni contribuiscono in larga parte a contenere entro limiti tollerabili la soglia dell’angoscia derivata dalla certezza di morire;
l’esperienza del caso, ossia del confrontarsi continuo dell’uomo con la sua incapacità di darsi spiegazioni (per lo più parziali e provvisorie) circa gli eventi naturali, sociali e individuali che interferiscono con la sua esistenza. Anche in questo caso è possibile concepire l’esistenza di un ‘ente’ onnisciente, che invece non sia sottoposto a tali limitazioni, cui ricondurre l’ordine delle cose naturali e umane.
Intrinsecamente connessa all’esperienza religiosa è la questione dell’ordine morale, che discende dalla necessità di effettuare scelte, non solo in base a criteri utilitaristici, ma anche legate alla dimensione del Bene e del Male. Tutte le religioni pertanto, comportando elementi prescrittivi o normativi, in forma di ‘comandamenti’ più o meno espliciti, soddisfano i bisogni sia degli individui che della società.
© all rights reserved