Il ritorno degli dèi e il ‘Dio personale’
Il filosofo francese Jean Francois Lyotard [1], ritiene che la società postmoderna sia caratterizzata dal venire meno della pretesa propria dell’epoca moderna di fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o religiosi e dalla conseguente apertura verso la precarietà di ogni senso. Eppure da più voci viene rilevata una sorta di ripresa dell’importanza della religione, quale elemento costruttivo dell’identità e origine delle regole di vita.
La postmodernità si presenta dunque come un superamento filosofico della modernità, cioè come quell’epoca in cui, secondo la definizione di Lyotard, non si crede più alle grandi narrazioni, ma si assiste invece a un fenomeno degno di attenzione, su cui molti pensatori riflettono: la creazione, tutta occidentale, di quelle ‘narrazioni religiose’ (che il sociologo Ulrich Beck racchiude nella dicitura: il ‘Dio personale’) da parte dei singoli individui, che meglio si adattano alla loro vita ‘personale’ e al loro ‘personale’ orizzonte di esperienza.
Anche senza fare riferimento a pubblicazioni scientifiche per addetti ai lavori, la stampa offre spazio, sempre più spesso, ad interventi dedicati alle tematiche religiose, che innescano un dibattito controverso e testimoniano l’interesse che tali argomenti suscitano. Silvano Petrosino, docente di Semiotica e Filosofia Teoretica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per esempio, apre un suo saggio [2] proprio con tre citazioni di questo tipo:
[...] un esame più approfondito dei contesti pertinenti tende a confermare l’ipotesi che esista una connessione fra insicurezza esistenziale e bisogno religioso (Habermas, 2007 [3]);
[...] il senso del sacro vive di ignoranza, di paure e di oscure minacce, confina con la superstizione e dispone al fatalismo e al fanatismo (Boncinelli, 2008 [4]);
[...] l’esperienza del Sacro non è un residuo irrazionale di paure primordiali, né una forma di superstizione che sarà un giorno scacciata dalla scienza. Essa è una soluzione dell’aggressività accumulata che alberga nel cuore delle comunità umane (Scruton, 2007 [5]).
Petrosino trova in queste affermazioni un comune denominatore in concetti quali ‘insicurezza esistenziale’, ‘aggressività’, ‘paura’: ecco che tutto ciò che attiene al Sacro e al ‘religioso’ viene inesorabilmente letto come un meccanismo di difesa che la psiche mette in atto per superare l’angoscia di vivere. Tale ‘contromossa’ sarebbe dunque una risposta, anche socialmente preziosa, ma totalmente limitata nel concepire gli uomini come ‘religiosi’ solo in quanto bisognosi di trovare una forma di compensazione consolatoria rispetto alle mancanze/paure che li affliggono.
Petrosino cita anche Jacques Lacan (filosofo e psichiatra francese che molto lavorò sul pensiero freudiano), che arriva a parlare di ‘trionfo della religione’ rispetto alla psicanalisi, che si colloca tra il mondo passato della religione, luogo in cui ‘tutto va’ e in cui si riusciva sempre a trovare un senso in ogni cosa, e il mondo futuro della tecnica, in cui la superbia dominerà incontrastata, facendo illusoriamente credere che esisteranno solo ‘problemi’ (e non ‘questioni’!), che prima o poi verranno risolti.
Ma allora, il ‘religioso’ è il carattere di un bisogno dell’uomo o piuttosto un tratto costitutivo della sua esperienza? La domanda è lecita e presuppone che siano ben chiare le differenze tra ‘religiosità’, esperienza generatrice di ricerca di senso (esperienza in quanto esposizione/apertura – ma anche lotta/prova – a un’alterità che l’uomo non può evitare, né assorbire) e ‘religione’, come sistema narrativo-concettuale che vive anche di riti e norme, che non sono immuni dal rischio di soffocare l’autenticità di ciò che sono chiamati a proteggere e incrementare. Inoltre, acutamente sottolinea ancora Petrosino, trattando dell’esperienza del Sacro, occorrerebbe poter evitare di ritenere del tutto naturale il primato della paura e della tragicità dell’angoscia, poiché esiste anche il fenomeno dello stupore. Difficile, dunque, separare nettamente il sentimento dell’eccedenza da quello del limite, lo stupore dal timore, la gioia dalla paura, il sentimento di sé da quello dell’altro, poiché tutto questo è proprio della condizione umana. L’uomo fa esperienza del suo essere hic et nunc solo all’interno dell’esposizione all’alterità di un ‘là’, di una vita oltremondana (presente come trascendente), la cui percezione non potrà mai definitivamente allontanare da lui il senso del limite che tale eccedenza apre all’angoscia.
Molto interessante anche un’ulteriore riflessione del filosofo francese Jacques Derrida sulla religione, che, sempre secondo Petrosino [6], si articola secondo tre diversi livelli:
1. sociologico: è impossibile evitare riferimenti alla religione cristiana quando si parla della contemporaneità; la mediatizzazione globale infatti e il cristianesimo stanno tra loro in rapporto di co-appartenenza (esiste il rischio che il corpo religioso cristiano venga addirittura distrutto proprio dalla sua stessa mediazione);
2. politico-istituzionale: il ‘religioso’ è il legame senza mediazioni con un’alterità irriducibile, mentre alla ‘religione’ va riconosciuto un valore politico-istituzionale (riti), che pur essendo utile a divulgare il religioso, in un certo senso lo tradisce, conducendo alla perdita della sua purezza;
3. ontologico: dalla necessità di rispondere all’altro derivano religione e ragione, fede e sapere; la risposta, può ovviamente essere sia di accoglienza che di risentimento. La comune fonte di religione e ragione è in realtà duplice: essa è caratterizzata insieme dalla sacralità (necessità di lasciare l’altro indenne per non contaminarlo) e dalla credenza (necessità di dare fiducia all’altro, alla sua capacità di ascoltare, di capire, prima di iniziare qualsiasi forma di rapporto).
Tra i contributi più stimolanti sullo spirito religioso e la religiosità della società contemporanea, va sicuramente menzionato 'Der eigene Gott' [7], del sociologo tedesco Ulrich Beck, il celebre autore del saggio 'La Società del Rischio' [8].
Beck si interroga sulle dinamiche delle grandi religioni monoteiste nel XXI secolo, ma anche sulle problematiche conseguenti ai rapporti di convivenza più o meno forzata tra fedi diverse in questa nostra epoca di fanatismi e fondamentalismi [9], di globalizzazione (anche del rischio) e di imponenti processi migratori:
Non si corre certo il rischio di sopravvalutare il potere delle religioni come attori cosmopolitici, non solo per via della loro possibilità di mobilitare miliardi di persone al di là dei confini nazionali e di classe, ma perché esse influenzano il loro modo di concepirsi e il loro rapporto con il mondo. Esse tuttavia rappresentano soprattutto una risorsa di legittimazione nella lotta per la dignità dell’uomo in una civiltà che sta minacciando la propria sopravvivenza [10].
Alle forme sociali dello spazio personale che gli individui occidentali, con sempre maggiore indipendenza, si creano, rinegoziando costantemente gli equilibri dei loro stati d’animo e degli ambienti in cui vivono, corrispondono le forme sociali di una nuova religiosità e spiritualità, progressiva invenzione dello ‘spazio interiore’ dell’uomo che, in contrapposizione dialettica con lo spazio religioso pubblico, apre ai soggetti la via dell’intimo dialogo quotidiano con il proprio Dio. Ecco un ‘Dio personale’, insomma, come lo definisce Beck, che pone le basi non per la fine della religione, ma semmai per il suo ingresso nella narrazione della ‘religiosità secolare’ [11], che va decifrata in mezzo alle tante contraddizioni che la animano. L’idea di ‘individualismo religioso’ afferma dunque che nel progredire della modernizzazione le religioni mutano il loro volto, senza però scomparire. Ci è dato di comprendere cos’è la secolarizzazione solo alla luce dell’autocomprensione del soggetto e dei modelli interpretativi dell’organizzazione sociale: la secolarizzazione va posta tra la fatica dell’io e le avventure del noi [12].
Diversamente da quanto accade all’interno delle Chiese [13] e delle sette, il ‘Dio personale’ non conosce verità assolute (e di conseguenza non conosce ‘infedeli’), né gerarchie, eretici, pagani o atei; semmai nel suo politeismo soggettivo trovano posto molte divinità. Gli individui in questo modo possono essere sia credenti sia non credenti, fatto decisamente impensabile per le religioni e le Chiese!
Beck fa riflettere i suoi lettori anche su quello che chiama ‘fenomeno Benedetto XVI’, che si evidenzia in parallelo con la crisi e l’innegabile diminuzione dei praticanti delle Chiese statunitensi e dell’Europa centro-occidentale [14]: la semplicità evangelica delle prediche del papa e la forza magnetica e persuasiva esercitata dai segni del suo pontificato non riempiono le chiese, ma coinvolgono liberamente chi, anche se appartenente ad altre culture (religioso o no) sente di avere dentro di sé il bisogno di spiritualità. Va aggiunto che anche pratiche religiose quali i pellegrinaggi, i rituali di guarigione e il culto dei santi su base locale continuano ad esercitare un’inaspettata attrattiva. Infine, non si deve sottovalutare che nella quotidianità della vita individuale, ma anche socio-politica, è in netta crescita la ‘pluralità delle religioni’, effetto delle mobilità umane, il che rende reale contemplare delle alternative anche a livello di ‘credo’; la sfida della diversità religiosa genera inevitabilmente la necessità di maggiore assimilazione e di familiarità con ‘gli altri’ [15], pena il disagio e il malessere. Belonging (appartenenza) e believing (fede) non sempre infatti coincidono pienamente. Nelle dimensioni della religiosità ‘liberamente fluttuante’, anche la tolleranza sempre più frequentemente ormai ha per fine la pace e non più la ricerca della verità [16]. La pace tuttavia può essere violata.
Esser sottoposti a un continuo confronto con se stessi, in un mondo tanto complesso, caratterizzato da un insieme interconnesso di frenetiche attività di produzione, scambio e consumo basato su un sistema economico dotato di leggi proprie, può provocare sconcerto e insicurezza nei confronti della propria identità; aspirare a quella che il filosofo Spinoza, nella sua 'Ethica' (proposizione 52, IV) chiamava 'acquiescientia in se stessi', ossia acquiescenza ad essere la persona che si è, forse non con entusiasmo, ma comunque con l’accettazione volontaria delle motivazioni e delle disposizioni che ci spingono ad agire [17], che non si può escludere sia accompagnata da un corredo di sofferenze, fallimenti e disillusioni, richiede un grande lavoro da parte dell’Io riflessivo degli anni Duemila, che sa perfettamente quanto la sua vita personale sia sinonimo di contingenza e consapevolezza.
Gli uomini non soffrono perché hanno perso la speranza, bensì perché non possono perderla. È appunto chi spera che viene tormentato [18].
Beck è convinto che proprio nell’incontro e nella compenetrazione tra religioni universali e nuovi movimenti religiosi si frantumi la pretesa universalistica delle due grandi culture europee, che lui identifica in quella della fede cristiana e in quella della razionalità secolare, aggiungendo che lo stesso ragionamento vale anche per la pretesa universalistica di altre religioni (ad esempio: l’universalismo musulmano).
Molto interessante anche l’analisi degli oggetti di discussione che diventano essenziali tra le religioni: tutti i conflitti, nessuno escluso, da quelli sulle regole della sessualità a quelli sul valore della vita e della natura. Le religioni, pur nelle loro differenze e divergenze intrinseche, riconoscendo le rispettive specificità hanno allora il dovere di trovare la via per una cooperazione orientata all’efficacia, nell’ottica di una prospettiva condivisa di dignità umana: la Religione, anche nel terzo millennio, di fatto assume un’importanza decisiva nella politica mondiale. Le ‘nuove guerre di religione’ sono ancora troppo allarmanti, dato che il contesto in cui operano è quello suicida di un’epoca che, purtroppo, conosce gli armamenti nucleari e la manipolazione genetica:
'Solo quando le religioni dei vari Dèi unici si impegneranno a fondo per incivilire se stesse e cesseranno di evocare la violenza come mezzo di missione, il mondo avrà un’opportunità. Ma non si tratta forse di una speranza assolutamente ridicola?' [19]
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