La mistica delle pietre preziose è un breve saggio del 1937, nato dalla penna di Paul Claudel, un diplomatico francese travolto da un’istantanea conversione nella Chiesa di Notre-Dame. Il suo interesse per la simbologia delle pietre preziose e per i lapidari di tradizione medioevale nacque in concomitanza di un discorso commemorativo che fu chiamato a tenere sull’arte del prestigioso Pierre Cartier, in occasione della consegna, appunto al gioielliere parigino, della Legion d’Onore (1929).
L’uso delle gemme e delle pietre dure come ornamento e come simbolo di autorità è antichissimo e, poiché l’essere “rare” era la loro prerogativa, venivano generalmente considerate vere “luci” del Cielo, opere di natura divina e pertanto spesso impiegate in cerimonie sacre o quantomeno rese oggetti di culto, amuleti o talismani. Nei poemi sanscriti, vedici ed omerici è facile imbattersi in accenni sull’utilizzo magico delle pietre preziose, ma anche la Bibbia ci fornisce testimonianza di un interesse tutt’altro che profano verso questi affascinanti doni della terra. Leggiamo per es. il cap. 28 dell’Esodo: dopo aver impartito istruzioni per le “cose sacre”, Jahvé indica a Mosè quelle proprie per le “persone sacre”, ossia per i sacerdoti, i cui compiti riguardavano essenzialmente il culto in senso stretto e la conoscenza, la ricerca e la manifestazione ai fedeli della volontà divina. Inizia così un’accurata descrizione degli indumenti esclusivi del Sommo Sacerdote: efod (una specie di abito simile a quello con cui venivano spesso raffigurati i Faraoni o gli dei d’Egitto, composto da due parti, una anteriore ed una posteriore, che dal mezzo del corpo giungevano fino alle ascelle; queste due parti erano unite da una cintura in basso ed in alto da due spalline, congiunte da due pietre d’onice incise “con i nomi dei Figli d’Israele”), mantello (di porpora viola orlato con un bordo di melograne scarlatte e campanelli d’oro), diadema (in lamina d’oro puro con incisa la scritta “consacrato a Jahvé”) da disporre sul turbante, pettorale. Farai il pettorale del giudizio, lavoro da ricamatore, di fattura uguale a quella dell’efod; lo farai con oro, porpora viola e rossa, scarlatto e bisso ritorto. Sarà quadrato e doppio, lungo una spanna e largo una spanna. Lo riempirai con quattro file di pietre: un rubino, un topazio ed uno smeraldo nella prima fila; una malachite, uno zaffiro ed un diamante nella seconda fila; un’agata, un giacinto ed un’ametista nella terza fila; un crisolito, un onice ed un diaspro nella quarta fila. Saranno incastonati in castoni d’oro. Le pietre corrisponderanno al numero dei nomi dei Figli d’Israele. Saranno dodici secondo i loro nomi e saranno incise come i sigilli (Es. 28, 15 - 21). Ecco dunque perfettemente descritta questa specie di borsa quadrata guarnita di dodici gemme, congiunta in alto alle spalline dell’efod ed in basso dalla sua cintura: questo particolare ornamento richiama ancora il pettorale indossato dagli Egizi di rango, come segno di distinzione e di autorità.
Dalla viva voce di Jahvé dunque ecco un preciso ordinamento per il Gran Sacerdote ed ecco le dodici pietre di cui troveremo esatta corrispondenza in quelle rammentate nell’Apocalisse, nel cap. 21 dove si ha la descrizione della “Nuova Gerusalemme”, focolaio di luce e di beatitudine del cosmo. Annientata l’umanità nemica che l’assediava, Gerusalemme ormai sfolgora di gloria divina, è la “sposa novella”, cittadina del cielo dal quale “scende” per insediarsi nell’Universo nuovo quale regina che partecipa alla regalità dell’Agnello suo sposo; è ossia la Chiesa ideale militante e trionfante, unica realtà che collega il cielo e la terra, proveniente da Dio ed animata dalla Sua vita eterna, in cui si esercita la sovranità divina per tramite di Cristo, agnello redentore. Il suo lume è simile ad una pietra preziosissima, come pietra di diaspro dall’aspetto cristallino - afferma il versetto 11; dunque la luminosità è ciò che attira in primo luogo lo sguardo del veggente e tutta la descrizione seguente sarà in piena armonia con il fulgente spettacolo del trono di Dio e della corte celeste apparso nei capp. 4 e 5. La struttura della città santa è caratterizzata dalle mura e dalle porte, descritte in parte con elementi desunti dai capp. 40/48 di Ezechiele, e come lì simbolici: le mura, alte, grandi, inespugnabili ed incrollabili esprimono la forza e la maestà; il n°12 (3= numero divino x 4= numero cosmico) nel suo insistente ripetersi esprime il superamento di ogni limite umano; le porte, invece sono puramente ornamentali e simboliche, poiché “non si chiuderanno mai” (v.25). Ma, tornando alle mura, grandiose opere di architettura e gioielleria, costruite con materiali atti a manifestarne la natura ultraterrena, esse sottendono e dipingono già da sole la gloria di Dio ed i Suoi luminosi riflessi: alla trasparenza ed alla lucentezza di tali preziosi bastioni fa degno riscontro l’oro abbagliante e traslucido dell’intera città santa; anche la trasparenza immateriale del vetro è diretto accenno alla spiritualità della Gerusalemme celeste. Leggiamo ora i versetti 18/21: E le sue mura erano costruite in diaspro, e la città era di oro puro simile a vetro puro. I basamenti delle mura della città erano ornati di ogni pietra preziosa: il primo basamento è diaspro, il secondo zaffiro, il terzo calcedonio, il quarto smeraldo, il quinto sardonice, il sesto sardio, il settimo crisolito, l’ottavo berillo, il nono topazio, il decimo crisoprasio, l’undicesimo giacinto e il dodicesimo ametista. Ritroviamo qui le dodici pietre preziose già elencate per il pettorale (anch’esso quadrangolare come la città santa) del Sommo Sacerdote ebraico: se l’identificazione delle pietre talora è incerta e più difficile ancora è il determinarne il simbolismo, va detto che non mancarono interpreti che si cimentarono nello stabilire il valore allegorico di ogni gemma (mostrando per es. come ognuna simboleggia un apostolo), anche se forse sarebbe stato meglio accontentarsi di cogliere il significato complessivo di trascendente gloria e ricchezza e di evocare l’effetto abbagliante, prodotto dai riflessi sfumati di azzurro (zaffiro, lapislazzuli), viola (giacinto, ametista), verde (smeraldo, berillo), giallo (crisolito, topazio), rosso (sardio, rubino)... emananti dalle gemme fulgenti, connesse in blocchi immensi, poiché si estendono quanto il muro di cinta di una città inimmaginabilmente grande...
Se vogliamo rifarci ai commentarii sui libri della Sacra Scrittura del gesuita belga Cornelis Cornelissen van den Staen, più conosciuto forse come Cornelio a Lapide (1567/1637), potremmo desumere dalle dodici pietre preziose niente meno che i dodici articoli di fede del “Credo” cattolico: ecco dunque che il diaspro, una varietà opaca e compatta di quarzo, con impurità derivate da resti fossili di microrganismi marini e di ossidi che le impartiscono la caratteristica colorazione a chiazze di diverso colore, sottenderebbe all’Unicità del Dio Creatore, fondamento compatto di tutto l’edificio sopra eretto. Poi viene lo zaffiro, notissima varietà blu scura del corindone, cui erano attribuite dalla tradizione popolare proprietà magiche-medicinali e che simboleggiava la magnanimità e la fedeltà: lo zaffiro alluderebbe al Verbo, Gesù Cristo, per il suo colore di firmamento, di profondità, di abisso di visione di cui è detto appunto dal profeta Isaia (54,11): “... Ecco io pongo sulla malachite le tue pietre e sugli zaffiri le tue fondamenta...” (nota 1). Terzo poi viene il rubino, una delle gemme più ricercate costose, ritenuta nell’antichità la pietra degli eroi e degli dei, munita del potere di calmare la collera. Il suo nome deriva da “ruber”= rosso: ecco dunque che questo fuoco, questa brace ardente, allude forse al terzo articolo del Credo: Colui che è stato concepito dallo Spirito Santo e che é nato da una Vergine, porterà il fuoco nel mondo. E Dio glorificherà Maria facendoLa divenire anch’Ella fonte di luce e di splendore. Lo smeraldo invece, la più preziosa varietà di berillo verde, sarebbe l’identificazione di Dio sulla croce radicato in terra, che diviene così bevanda e nutrimento nostro. Ecco il quarto articolo del Credo: la Passione, grazie alla quale l’umanità trova sostentamento, vigore e forza. Il sardonice è una varietà di calcedonio composta di sarda ed onice: il fantasioso Cornelio vedeva in questa pietra un simbolo della discesa agli inferi di Cristo attraverso il limbo. Il biblico sardio sarebbe invece da identificarsi con la varietà bruno-rossastra di calcedonio chiamata sarda, che anticamente era collegata all’idea di sangue dei martiri cristiani: in questa sua colorazione particolare l’ingegnoso esegeta vuol trovare il paragone con il nascere progressivo della gloria dall’opacità. La Risurrezione insomma a partire dalla terra rossa, che é poi anche l’ebraico “adamam”, cioé il nome di Adamo (= Terra, humus: vd. Gn.2,7). Settimo nell’elenco è il crisolito: il suo nome “pietra aurea”, ovviamente deriva dal bel colore verde-giallognolo/verde-oliva. Anche noto come olivina o peridoto, gli veniva riconosciuta la curiosa capacità di accrescere il buon senso. Per la sua trasparenza sottenderebbe all’Ascensione. Il berillo invece, gemma imitante il colore verde cupo del mare, sarebbe l’emblema dell’ottavo articolo di fede, ossia il Giudizio dei vivi e dei morti. Una verità di maggior pregio di questa gemma è l’assai nota acquamarina, così chiamata pare, perché tuffata nel mare diventerebbe invisibile come l’anima capace di annullarsi in Dio. Ed ancora ecco il topazio, il cui nome deriva forse dal sanscrito “tapas”= fuoco: se gli antichi gli attribuivano la proprietà di raffrenare il fuoco delle passioni, il nostro gesuita lo paragonava alla luce che risplende nelle tenebre, per quelle sue variegate sfumature che vanno dallo zafferano all’oro. Sarebbe anche l’emblema dello Spirito Santo. Il crisoprasio, la decima pietra, una delle più belle varità di calcedonio color verde porro o verde mela, simboleggia invece la Chiesa. Undicesimo è il giacinto, rosa-viola tendente al giallo, quasi un pulviscolo d’oro: il mistico vedeva in esso il simbolo della remissione dei peccati, della pietà che si unisce alla penitenza. Ultima infine il bel corindone viola detto ametista, la pietra che i vescovi ci offrono da baciare. Il suo sfumare dal blu al rosso suggerisce il congiungersi dell’Eterno e dell’Amore, la Resurrezione della carne dunque per godere alfine della vita eterna. “E infine, l’unione di tutte quante queste pietre - scrive Claudel - è quella che noi chiamiamo la Comunione dei Santi”. E così, al di sopra di queste fondamenta di pietre preziose si innalza l’edificio della nostra redenzione, fatto di colori composti, in cui l’elemento superiore esercita una specie di richiamo e di purificazione dell’elemento inferiore... La nostra anima, simile a pietra preziosa, limpida si fa leggere nell’integrità della sua sostanza: la luce si fa colore ed attende la rivelazione, il momento in cui tutta la materia sarà trasformata in spirito. Così forse il pregio di una gemma sta’ esclusivamente nella sua duttilità all’azione della luce che l’attraversa e l’illumina. Ma non dimentichiamo mai che è necessaria la collaborazione attiva dell’uomo, perché, lasciandosi appunto impregnare dai divini raggi, diventi a sua volta “un corpo di luce”. Occorre ovviamente un paziente procedimento per “convertire” la pietra grezza in pietra preziosa, ma d’altra parte in 1 Pietro (2, 6)... non si ribadisce che chi pone la sua fede sulla pietra angolare non resterà deluso? I credenti quindi, come tante “pietre viventi” devono riunirsi nell’edificio mistico, che è la Chiesa, di cui Cristo è l’anima.
E naturalmente quale gemma potrebbe meglio simboleggiare Gesù, se non il diamante? La gemma per eccellenza, la più pura, la più ambita, la più splendente è la pietra bianca sulla quale è scritto “ un nome nuovo” (Apoc. 2, 17), sigillo del Dio vivente che si imprime nell’anima cristiana. La parola “diamante” deriva dal greco “adàmas” e significa invincibile, indomabile; è il più duro dei minerali, perché li scalfisce tutti e da nessuno è scalfito. Chimicamente è carbonio puro: scaldato all’aria brucia senza lasciare residuo; nei cristalli migliori la limpidezza è perfetta ed il colore può mancare od esser giallo, verde, azzurro, rosa e nero. Da sempre è regale simbolo di forza e potenza per la sua durezza, di lealtà per la sua limpidezza e lucentezza; ma è anche simbolo di giustizia perché una narrazione tramanda che Aronne, primo Gran Sacerdote di Israele, possedesse una simile pietra, che mutava il colore chiaro in nero, ogni volta che un ebreo doveva essere punito per i suoi peccati, od in rosso, quando il colpevole doveva essere condannato alla pena capitale. In caso di innocenza ovviamente la gemma brillava in tutto il suo splendore...
Il noto studioso di simbologia della Scienza Sacra R. Guénon riunisce l’idea del diamante-Cristo con quella della “pietra angolare”, compimento e realizzazione di un progetto costruttivo, perfezione della realizzazione del piano dell’Architetto, meta ultima e prima al contempo. Senza addentrarmi nei meandri affascinanti della “pietra angolare” (= indistruttibilità, indivisibilità) che porterebbero inevitabilmente a parlare delle “altre” pietre sacre o magiche (nota 2), concludo questa digressione con un ultimo fugace accenno alla connessione delle pietre preziose con gli Angeli. Gregorio Magno, ispirandosi al passo di Ezechiele (28, 13), dove si citano le gemme che abbellivano l’orgogliosa Tiro, indicò una precisa relazione tra gli ordini delle gerarchie celesti e le pietre preziose. Anche lo pseudo-Dionigi sottolineò che le diverse qualità delle pietre indicherebbero simbolicamente altrettanti aspetti della natura angelica (quelle bianche significando lo splendore della luce, quelle rosse il fuoco, quelle gialle l’oro, quelle verdi la giovinezza e la forza...), passo questo che ben si adatta a giustificare gli ornamenti preziosi che abbelliscono assai spesso le figure angeliche del Rinascimento (nota 3). Ma questa è un’altra storia.
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