Il nome 'Bibbia' (che deriva dal plurale neutro greco “i libri”) designa il complesso dei libri che le Chiese cristiane considerano come sacri. Perciò equivalente di questo termine è Sacra Scrittura o semplicemente Scrittura per eccellenza. La 'Parola di Dio' ci è stata tramandata in due lingue originali: una semitica del ramo occidentale o cananeo (l’ebraica) e l’altra greca, che vanta un suo nobilissimo posto tra le lingue indoeuropee. Inoltre, se pure in pochi capi di due libri (Daniele ed Esdra), venne usato l’aramaico, un dialetto semitico del ramo settentrionale. Generalizzando, si può così affermare che l’Antico Testamento venne scritto in ebraico e aramaico, in greco il Nuovo. Attualmente nelle copie dei manoscritti veterotestamentari pervenutici leggiamo il testo ebraico in una recensione fissata nel primo secolo dell’era volgare, forma soddisfacente, ma non del tutto esatta del testo originale. Dobbiamo allo zelo dei rabbini il merito di tanta esattezza e concordia nella trascrizione dei libri sacri: essi addirittura stesero minute prescrizioni ai copisti (vedi il trattato 'Sophêrîm' nel 'Talmud' - nota 1), inculcando la massima attenzione per rispetto alla parola di Dio. Per quanto riguarda invece la critica testuale del Nuovo Testamento possiamo dire che è questo un campo senza pari per l’abbondanza dei materiali e per la sicurezza dei risultati. Più di quattromila manoscritti (di cui almeno centosettanta unciali – maiuscoli – e quaranta papiri) hanno permesso agli studiosi di giungere alla lezione originaria.
Naturalmente la Bibbia resta il libro più tradotto nel mondo; bisogna comunque distinguere i due generi delle diverse versioni: quelle antiche (nota 2), che restano documenti preziosi per la critica filologica del testo, e quelle moderne, divulgative.
Esistono tuttavia altre lingue sacre o ieratiche, che potrebbero esser considerate – come sostiene lo studioso René Guénon – immagine o riflesso della lingua originaria, la lingua sacra per antonomasia, la “parola perduta”, divenuta inaccessibile per gli uomini, tranne che per i profeti. Tale lingua primitiva avrebbe origine “non umana” e le lingue sacre da essa derivate debbono pertanto considerarsi opera di “ispirati”. Sarà compito dei “rivelatori” il saper usare un linguaggio adatto a far comprendere questi sacri idiomi, linguaggio fatto di parole capaci di esprimere l’essenza delle cose e dei loro rapporti numerici. Non a caso nell’ebraico e nell’arabo la corrispondenza tra lettere e numeri (e quindi tra parole e numeri) è assai importante e per noi Occidentali, non avvezzi a questi “strani” modi di scrivere, risulta pertanto forse più difficile prender coscienza di cosa significhino davvero le lingue sacre. Se il Warrain afferma che “l’ipotesi cabalistica è che la lingua ebraica sia la lingua perfetta insegnata da Dio al primo uomo”, nei Paesi islamici è opinione diffusa che la lingua araba sarebbe invece la lingua originale dell’umanità, contraddicendo in realtà il vero insegnamento tradizionale musulmano, secondo cui la lingua adamitica sarebbe stata quella siriaca, non avendo questa designazione alcun rapporto con lo stato geografico della Siria (nota 3), ma derivando da “sûryâ” = Sole in sanscrito (la radice “sur” riporta al vocabolo “luce”), la si intenderebbe come “lingua dell’illuminazione solare”.
E così, sia nella cabala ebraica che che nell’esoterismo islamico, ci si imbatte in quella scienza delle lettere, che porta a rintracciare una sovrapposizione possibile tra le lettere appunto e le diverse parti dell’Universo. Molto suggestiva è a questo proposito l’esposizione (firmata da Seyidi Mohyiddin) del principio metafisico di questa scienza: un Libro simbolizza l’Universo; una penna divina ne ha tracciato simultaneamente i caratteri, che si potrebbero chiamare “lettere trascendenti”. Queste, che altro non sono che le idee o le essenze divine, sono al contempo numeri ma sono anche tutte le creature che, grazie al soffio divino, scendono a comporre l’Universo come noi lo conosciamo.
Ecco dunque che studiando la scienza delle lettere si può arrivare alla “conoscenza” delle cose, intese come essenze eterne, e della cosmogonia, cioé della formazione del mondo manifesto, oltre che delle virtù dei nomi e dei numeri, che esprimono la natura di ogni essere. Giuseppe, alla corte del Faraone, fu maestro in questa arte di intelligere il celato. Tornando così alla Bibbia, facciamo un esempio di quanto vi si possa apprendere al di là del puro testo: l’Esodo tratta ed insegna l’alfabeto letterale scritto, il Levitico quello parlato, il Libro dei Numeri quello numerale od aritmetico, la Genesi quello dogmatico.
Senza analizzare singolarmente questi ambiti, poiché ritengo più semplice fare un esemplificazione pratica che non una teorizzazione, riporto un curioso calcolo dimostrativo di quanto detto: 2234 è il numero risultante dalla somma del tempo decorso dalla nascita di Adamo alla morte di Giuseppe, ma è anche il complesso delle ere creative. Se dividiamo questo numero per 12 (valore di una mezza giornata creativa) otteniamo, per arrotondamento, 186, che moltiplicato per 5 (i 5 giorni precedenti la creazione dell’uomo) dà 930, cifra corrispondente agli anni di vita di Adamo. Ancora, se da 2234 togliamo questo 930, ci risulta 1304, numero che ci richiama le ere: 130, quelle di prolificazione di Adamo e 4 rispettivamente di Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe.
Quindi se “leggiamo” la vita di Adamo secondo i dettami della Scienza dei Numeri vi ritroviamo narrata tutta la storia della creazione. È anche curioso sapere che in lettere il numero 12 è il vocabolo “Padre”, mentre 130 sta per “Dio”.
Infine mi piace ancora ricordare quel linguaggio misterioso chiamato lingua degli uccelli, designazione simbolica che ricorre in varie tradizioni. Comprendere questo linguaggio equivale a comunicare con gli stati superiori dell’essere, sottendendo agli uccelli forse gli Angeli, come suggerisce per esempio persino il Corano, alla sura XXVII, 16: “...Dio mi ha insegnato la Lingua degli Uccelli e mi ha rivelato i Segreti delle Cose. Ecco un chiaro segno della Sua Benevolenza” – pronuncia Salomone al cospetto della Regina di Saba...
La lingua degli uccelli è dunque forse la lingua degli Angeli (nota 4), che è un linguaggio ritmato come quello con cui sono scritti i Libri Sacri, come quello della Poesia (nota 5) e come quello “siriaco”, di cui ho parlato prima, che, stando ad una tradizione islamica, sarebbe stato quello usato da Adamo nel Paradiso Terrestre.

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Note
1) ”Sophêrîm” significa “letterati”, da “sepher” (libro) o da “sâphar” (contare). I sopherim ebraici erano insomma degli scribi, datisi per professione allo studio ed all’interpretazione della Legge (Tôrâh). Da essi cominciò quell’accumularsi di minute osservazioni attorno al testo biblico che formerà poi l’immenso corpo della “masora”, ossia della “tradizione”. Agli scribi in particolare si attribuisce la divisione e la numerazione dei versetti di ciascun libro.
2) La più antica versione biblica è quella greca detta dei “Settanta” (LXX), dal leggendario numero dei presunti interpreti. Questa sorse ad uso degli Ebrei grecizzati d’Egitto, sotto il regno dei Lagidi, per opera di più traduttori. Altre versioni famose sono quella “alessandrina”, ripudiata dai Giudei ed accolta dai Cristiani; le “esaple” in sei colonne affiancate, per mettere a confronto il testo ebraico, il medesimo testo tradotto in greco, la versione di Aquila, quella di Simmaco, quella dei LXX, la teodozione (l’esapla più celebrata fu opera di Origene); il “targûm” (versione aramaica); la “pescitta” (versione siriaca); le versioni copte nei quattro dialetti saidiaco, boheirico, fayumico ed akhmimico); ed ancora le versioni etiopiche, arabe, armene, georgiane, gotiche, paleoslave, latine (tra cui la “volgata” ad opera di S. Girolamo)...
3) Si tratterebbe di quella antica Siria di cui Omero ci lasciò traccia, descrivendocela come un’isola al di là di Ogigia...
4) E’ facile accostare alla lingua degli uccelli gli “auspici” (da “aves spicere”, ossia “osservare gli uccelli”), presagi tratti dal loro volo e dal loro canto: gli uccelli quindi erano una sorta di messaggeri, avendo una funzione analoga a quella degli Angeli.
5) “Poesia” deriva dal verbo greco “poiein”, avente il medesimo significato della radice sanscrita “kri”, da cui “karma” inteso come “azione rituale”: ecco dunque il poeta come interprete (vate) della lingua sacra, attraverso la quale traspare il Verbo.
“Vate” a sua volta ci propone l’idea di uomo dotato d’ispirazione in qualche modo profetica, più che non quella di “indovino”, che peraltro etimologicamente deriva da “divinus”, cioé “interprete degli dei”.

Bibliografia
• Enciclopedia Treccani alla voce “Bibbia”.
• R. Guénon, “Simboli della Scienza Sacra”, Adelphi, Milano, 1990.
• E. Jacobitti, “Il Sacro nelle antiche Scritture”, F.lli Melita ed., Genova, 1988.
• “Il Corano”, F.lli Melita ed., Genova, 1989.
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