La zucca è il frutto di piante appartenenti al genere cucurbita, che grazie al potere della fantasia può tramutarsi in una carrozza trainata da cavalli, che prima erano topi, per accompagnare al ballo una fanciulla con scarpette di vetro. Trasformazioni magiche con cui la realtà diventa una storia, come dice Andrea Ingrosso. I voli dell’immaginazione hanno consacrato 'Cinderella' in un film di animazione cult – del 1950 –, in cui il geniale Disney riprende elementi della fiaba di Perrault, scritta per compiacere i gusti della corte francese, in cui mal si adattavano le crudeli mutilazioni presenti nella versione dei fratelli Grimm.
Nella rielaborazione narrata nella raccolta 'Lo cunto de li cunti' dal napoletano Basile – del 1634 – Cenerentola, alias Zezolla, non è affatto benevola, ma addirittura un’assassina.
Altre versioni sono presenti nella narrativa araba, in quella britannica ('Tattercoats' collezionata da Joseph Jacobs nel suo 'More English Fairy Tales', 1894); in quella norvegese (Kari Veste di Legno, contenuta nella raccolta 'Norske Folkeeventyr') e in quella russa (Vasilissa la Bella).
Cenerentola offre, infatti, un esempio importante di trasversalità della fiaba: sarebbero addirittura 345 le versioni, in Europa, Asia e Africa, mutando soltanto il nome della protagonista (Cendrillon in Francia, Aschenputtel in Germania, Askungen in Svezia, Ashiepattle in Scozia, Guidskoen – scarpetta d’oro – in Danimarca). [1]
Anche i cinesi hanno una Cenerentola tutta loro: si chiama Yeh-Xian [2] ed è l’unica a poter calzare una scarpetta talmente piccola da indurre a ravvisare nella storia l’inquietante pratica del loto d’oro che deformava i piedi delle fanciulle di buona famiglia con fasciature che le rendevano invalide fin dall’infanzia, ma seducenti e desiderabili. Degno di nota in questa esotica Cenerentola è che siano state rintracciate ben tredici ‘funzioni’ di Propp delle trentuno azioni (che lui chiama funzioni, appunto) che i protagonisti compiono per creare la trama, dai lui elencate nel suo lavoro sulla morfologia della fiaba.
Tuttavia la fonte più antica di questa da me amatissima fiaba è riconducibile a un racconto dell’Egitto del VI secolo a.C., citato da Erodoto [3], Strabone [4], Plutarco [5] ed Esopo:
Nitagrit, una povera fanciulla vessata dalle compagne a causa della sua bellezza e gentilezza, si bagnava nel Nilo, quando Horus il falco, piombò su uno dei suoi sandali deposto sulla riva: lo portò verso Menfi, lasciandolo poi cadere ai piedi del faraone che riposava all’aria aperta. Meravigliato dalle misure minuscole della calzatura, Ahmose – così si chiamava il faraone – diede ordine che si cercasse in tutto il regno la sua proprietaria, immaginandosi che appartenesse a una splendida donna. E infatti, una volta trovatala, se ne innamorò, la sposò e le impose l’armonioso nome di Rodope.
Rodope o Rodopì o Rhadopis, come nell’omonimo romanzo del premio Nobel per la Letteratura nel 1988, l’egiziano Nagib Mahfuz, in cui il sandalo è niente meno che d’oro rosso.
Ma queste non furono le uniche trasformazioni: la scarpetta che avrebbe dovuto essere di pelliccia, 'vaire' in francese, per un errore di trascrizione divenne di vetro, 'verre', a partire da un sandalo d’oro.
Di Cenerentola esistono anche un balletto classico (la cui prima rappresentazione si tenne presso il Teatro Bolshoy nel 1945, anno memorabile per l’Unione Sovietica: la musica scritta da Prokofiev rifletteva, infatti, la tragedia delle sofferenze subite a causa della guerra e la luce splendente della speranza nel futuro) e un dramma giocoso in due atti firmato da Rossini (librettista Jacopo Ferretti), che inizia a comporla sul finire del 1816. Nel giro di appena un mese, l’opera è pronta, e va in scena a Roma, al Teatro Valle, il 25 gennaio 1817. [6]
Cenerentola mi ha sempre conquistata perché non si arrende, nonostante i soprusi che matrigna e sorellastre le infliggono. Lei è anti-fragile, non permette che i loro maltrattamenti costituiscano un ostacolo nella sua vita. È una giovane in cui grazia e coraggio sostengono il credere in se stessa (e nelle Provvidenza) anche nei peggiori momenti di sconforto inevitabili dentro a una dinamica familiare castrante. Lei, la cui storia ha avuto inizio con il dramma della perdita della figura materna, deve sostare in quel vuoto simbolico che pare addirittura indispensabile per il processo di crescita, che la porterà a diventare Regina, non per privilegi o ricchezze di casta, ma per la bellezza della sua anima (e anche fisica ovviamente), finalmente liberata dal conflitto.
Cenerentola, come scrive Patrizia Ferrante, rappresenta l’anima di chi, dopo aver sentito forte il richiamo del Cielo, sceglie di farsi alleati gli istinti (cane, cavallo, topolini, e persino il gatto, che, nonostante tutto è costretto a ubbidire), presupposto per spianare la strada verso l’incontro con principe, ossia con lo Spirito. All’inizio a Cenerentola viene lasciata unicamente la libertà di sognare, ma grazie alla sua ‘fede’ – la fata Smemorina rappresenta quell’energia sovrumana capace di smuovere le montagne e far trasmutare le cose – produce l’elisir, e, sposando il principe, giungerà alla Pietra Filosofale: la Vita Universale si stabilirà in lei, se si ragiona in termini esoterici.
Giuseppe Sermonti aggiunge un’ulteriore riflessione: Cenerentola, che passa dal fuoco ardente nell’oscurità alla danza in abiti d’argento e d’oro, è una Kore-Persefone fiabesca, ed è l’elemento zolfo, che emerge dalla sudicia e fetida pietra di miniera nella lucentezza del cristallo dorato. Il passaggio dalla cenere [7] alla veste dorata si ripete, come nel mito di Proserpina, che trascorre parte dell’anno agli Inferi e parte sotto il cielo: questo periodico morire & rinascere è la modalità dell’esistenza delle due donne: di Proserpina in un mondo arcaico e di Cenerentola in un palazzo della nostra era. [8]
© all rights reserved