Lo studio dei fenomeni religiosi ha una lunga storia all’interno delle Scienze sociali, dato che nessuna spiegazione della religione può essere completa, se non se ne considerano gli aspetti sociologici. Assai differenti gli approcci e le interpretazioni; per esempio, sono state portate avanti indagini sulla religione quale:
- problema centrale per la comprensione della società;
- elemento di relazione con altri fattori della vita sociale (politica, economia, classi sociali, etc.);
- istituzione, movimento, ambito di specifici ruoli, etc.
Evidentemente tali differenti livelli di specificazione sono tra loro comunicanti, ma concettualmente si possono leggere come tre livelli distinti, corrispondenti agli orientamenti dominanti nella storia della Sociologia della religione. In particolare, i primi due livelli d’analisi corrispondono all’orientamento dei principali rappresentanti (ormai ‘classici’) della Sociologia della religione fiorita nel Novecento: Émile Durkheim (teoria funzionale della religione), Maximilian Weber e Ernst Troeltsch (teoria evolutiva e analisi dell’incidenza della religione sulla vita economica e sociale). Col tempo invece, la Sociologia della religione ha registrato un cambiamento di prospettiva, assumendo un approccio essenzialmente analitico, parziale e quantitativo.
Interpretazione evoluzionista
La Sociologia positivista ottocentesca, derivata dal pensiero illuminista, ritiene la religione una sorta di residuo/sopravvivenza di stadi primitivi della vita sociale. Auguste Comte (uno dei padri della Sociologia), avendo individuato tre stadi nello sviluppo delle società umane (teologico, metafisico e positivo), colloca la religione come dominante solo nel primo, appunto nell’età teologica o ‘fittizia’ [1]: in questa specie di infanzia dell’umanità, la ricerca delle cause dei fenomeni veniva attribuita ad esseri soprannaturali (feticci delle religioni animistiche, prima; pluralità di divinità, poi - politeismo - e infine all’unico Dio - monoteismo).
Herbert Spencer parimenti riteneva che la religione [2] fosse un fenomeno tipico delle società più arcaiche, da lui definite ‘società militari’ (legittimate proprio dalla religione); dato, infatti, che nelle società industriali (più tarde ed evolute rispetto a quelle militari) erano le capacità e le prestazioni individuali a contare, veniva meno l’esigenza di credenze e norme religiose, capaci di imporre il rispetto dell’autorità.
Insomma: la religione, essendo inadatta ad affrontare adeguatamente le contingenze della vita più moderna, era intrinsecamente destinata ad essere superata e sostituita dalla scienza.
Interpretazione marxista
Derivata anch’essa dalle concezioni illuministe [3], che ritenevano la religione un fenomeno che oscura le menti e la luce della ragione e i suoi rituali forme di comportamento stereotipato e passivo, questa interpretazione si muove attorno a parole-chiave quali ‘falsa coscienza’ e ‘sovrastruttura ideologica’: la prima, per dire che la religione – ‘l’oppio dei popoli’ (il ‘sospiro della creatura oppressa’) secondo la celebre espressione coniata nel 1848 da Marx e Engels – impedisce di cogliere l’antagonismo della lotta tra le classi; la seconda, per sottolineare la sua funzione di occultamento dei rapporti di forza e dominio.
La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all’uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell’al di qua [4].
Religione quindi come rifugio in cui le classi più deboli cercano sollievo dallo sfruttamento e dalle loro misere condizioni di vita. Il processo di secolarizzazione allora non può essere letto se non come un logoramento progressivo di questa sovrastruttura ideologica, cui sarebbe intrinsecamente impedito sul lungo periodo il celare la vera natura dell’oppressione.
Interpretazione funzionalista
Tutte le forme di religione, secondo questa lettura, invece svolgerebbero una funzione sociale fondamentale in ogni tipo di società: quella di integrare e tenere insieme le varie parti, spesso minacciate da conflitti interni o esterni. Poiché la religione esiste da tempo immemorabile, evidentemente essa deve assolvere a una funzione, o meglio, a un complesso di funzioni.
Il funzionalismo [5] ritiene che il contributo delle religioni alle società umane sia la sua trascendenza dall’esperienza quotidiana nell’ambiente naturale. Partendo da tre caratteristiche fondamentali dell’esistenza umana:
- la contingenza (condizione radicale d’incertezza dell’esistenza umana),
- l’impotenza (limitata possibilità dell’uomo di controllare le condizioni della sua vita),
- l’insufficienza (limitata disponibilità di beni; tale situazione richiede l’esistenza di un’autorità cui sottomettere i rapporti, vista l’esigenza di mantenere l’ordine nella situazione di penuria: l’uomo fa così esperienza della frustrazione e della privazione),
- la religione appare pertanto come il meccanismo più importante di adattamento agli elementi aleatori e frustranti.
Fondamentale nell’analisi sulla funzione socialmente unificante dell’intero sistema religioso, resta il contributo di Émile Durkheim, per vent’anni docente di Sociologia [6] alla Sorbona, a partire dal suo libro: 'Le forme elementari della vita religiosa' (1912), in cui, ritenendo possibile fondare una teoria delle religioni, anche superiori, a partire dalle forme più primitive, afferma che la religione è essenzialmente un fenomeno sociale, ovvero rispecchia la società nella quale si manifesta. L’essenza della religione, inoltre, a suo parere, consisterebbe nella divisione del mondo in fenomeni sacri e profani e non nella credenza in un Dio trascendente o nel tentativo di rendere conto di fenomeni misteriosi o soprannaturali: proprio la dialettica del sacro e del profano costituisce infatti il centro del ‘fatto sociale’ (Durkheim vede nella religione il fenomeno sociale fondamentale dal quale derivano tutti gli altri [7]) e Dio una sorta di ipostatizzazione della società (culto di Dio come il mascheramento del culto per la società).
La religione – il sistema condiviso di credenze e di pratiche (riti) relative a cose sacre, ossia separate, interdette – dunque presuppone il Sacro, l’organizzazione delle credenze e infine riti o pratiche [8], derivati in modo più o meno logico dalle credenze. Se la ‘sacralità’ è un quid che viene attribuito dall’esterno e non intrinseco alle cose sacre, diventa allora interessante riflettere non tanto sulle cose sacre, ma sui processi per cui quelle cose sono state ritenute sacre. Durkheim considera che il Sacro si crei a partire dalle azioni dei rituali (mezzi mediante i quali il gruppo sociale si riafferma periodicamente), che presuppongono una riunione di persone, in determinati luoghi, in specifici periodi dell’anno: tale agglomerazione sarebbe sufficiente a scatenare fattori esaltanti, che porterebbero ‘fuori’ dall’esistenza quotidiana. Dunque, si tratta di un’energia e di una forza tali da creare davvero un mondo irriducibile a quello della vita ordinaria: la religione allora non può essere il prodotto di un’illusione o un delirio, ma solo qualcosa di reale e molto potente.
La forza religiosa è il sentimento che la collettività ispira ai suoi membri, ma proiettato fuori dalle coscienze che lo provano e oggettivato [9]. Durkheim studiò i gruppi religiosi concentrandosi sulla loro coesione/non coesione, sull’integrazione degli individui e sull’autonomia di cui singolarmente godevano [10]. Tutte le rappresentazioni mentali collettive elaborate dall’uomo sul mondo – tempo, spazio, genere, numero, causa – erano da intendersi come prodotto del pensiero religioso, ossia: le credenze religiose primitive racchiudevano le principali tra queste nozioni. L’uomo primitivo era dunque un animale sociale creatore di un pensiero religioso, che racchiudeva in boccio tutte le forme culturali. Durkheim tentando insomma di individuare tratti essenziali, permanenti e comuni a tutte le religioni del mondo, dedusse che il sentimento religioso altro non è se un modo per descrivere l’appartenenza alla società, la necessità del legame sociale (gli uomini più che far parte della società, la costituiscono).
Riassumendo, si potrebbe dire che Durkheim ha individuato quattro funzioni fondamentali della religione in quanto forza sociale:
- sviluppare la coesione sociale;
- preparare alla vita sociale (riti, senso di appartenenza al gruppo, solidarietà);
- rivitalizzare/mantenere vivo il patrimonio sociale del gruppo (valori da trasmettere anche alle generazioni future);
- neutralizzare i sentimenti di frustrazione, generando benessere/euforia.
La religione insomma ha per Durkheim una funzione sociale importantissima, che passa per l’affermazione del gruppo e la santificazione delle norme. Le convinzioni religiose, infatti, santificano le norme di condotta e ne forniscono la legittimazione: si può quindi facilmente comprendere come la religione fornisca una solida base per il controllo della devianza, necessario per la stabilità della società [11]. Se nelle società moderne la religione sembra in declino, è perché altre forme pur sempre di natura religiosa, hanno preso il suo posto, come il culto della patria, la sacralità delle istituzioni, con il loro apparato rituale e simbolico (la bandiera, la tomba del milite ignoto, il pantheon degli illustri figli della patria che rappresenta il genio della nazione) [12].
Interpretazione weberiana
Max Weber, figlio di un funzionario pubblico liberale e di una colta calvinista moderata, tra i suoi molti libri scrisse una monumentale 'Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie' [13] (1922), un modello di indagine comparativa sui rapporti tra religione e vita economica. L’opera si apre con i due saggi più vecchi, vale a dire: 'L’etica protestante e lo spirito del capitalismo' e 'Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo' [14], pubblicati per la prima volta fra il 1904 e il 1906.
Al problema, posto dall’economista e sociologo tedesco, Werner Sombartn [15], dell’origine del capitalismo moderno, Weber diede una soluzione attribuendo lo ‘spirito capitalistico’ all’ascesi mondana [16], che concepisce il lavoro come vocazione (i seguaci di Calvino iniziarono a ricercare nel proprio successo economico i segni della salvezza di Dio – predestinazione); tesi geniale, che ha aperto la via a intendere l’attività economica come un fatto spirituale, non dipendente meccanicamente da condizioni estrinseche.
Ne 'L’etica protestante e lo spirito del capitalismo' infatti Weber cercò di dimostrare come la religione fosse un elemento causale (diversamente da quanto espresso dalle posizioni marxiane che la ritenevano epifenomeno privo di valore causale), capace di influenzare l’azione e il corso della storia (non a caso, per esempio, il capitalismo moderno si affermò infatti proprio nei paesi che adottarono il calvinismo).
La religione, deduce Weber, appare allora connessa al problema del significato (dato che tutti gli uomini [17] hanno bisogno di un orientamento emotivo, ma anche di una sicurezza cognitiva quando affrontano il problema della sofferenza e della morte [18]) e importante strumento di razionalizzazione del mondo (religione come fattore di mutamento). Inoltre, quanto più l’Occidente dispiega la propria razionalità, tanto più si emancipa dalla sfera religiosa e dalle spiegazioni della realtà fondate su un principio trascendente: è questo il cosiddetto ‘disincantamento del mondo’.
Interpretazione dell’anarchismo sociale
Louis Althusser [19], uno dei protagonisti dello strutturalismo degli anni Sessanta (con Claude Lévi-Strauss, Jacques Lacan e Michel Foucault), mise al centro della sua riflessione una rilettura del pensiero di Marx [20]. Dalla tradizione marxista l’apparato di Stato (tribunali, esercito, governo) veniva identificato con la forza di intervento repressivo al servizio delle classi dominanti; accanto a questo apparato, Althusser indica un’altra realtà ad esso legata: quella degli ‘apparati ideologici di Stato’ (il sistema delle diverse Chiese, quello delle scuole/università pubbliche e private, l’apparato ideologico della famiglia, quello giuridico, quello dei partiti politici, quello sindacale, quello dell’informazione, quello culturale-sportivo, etc.). Molti di questi apparati ideologici di Stato appartengono dunque alla sfera privata e funzionano perfettamente attraverso l’ideologia loro sottesa: essi, essendo fondamentali per la conservazione del potere di Stato, divengono allora il luogo dove si gioca la lotta di classe. La tesi centrale di Althusser ruota intorno al fatto che ogni ideologia interpella gli individui concreti in quanto soggetti concreti, mediante il funzionamento della categoria di soggetto [21], contribuisce a creare le evidenze (che non possono non essere riconosciute) ed è centrata, nel senso che esiste un centro, che riconosce ed è riconosciuto (il Cristianesimo viene citato come esempio di funzionamento ideologico: San Paolo affermava che l’essere, il movimento e la vita erano nel Logos, cioè nell’ideologia; nel caso del Cristianesimo, ovviamente, il centro è Dio). Althusser, dunque, afferma la religione come apparato ideologico.
Ecco che i ‘buoni soggetti’ funzionano autonomamente nei limiti e nelle dinamiche proposte (o imposte?) dal sistema ideologico, mentre alcuni imprevisti potrebbero nascere dai ‘cattivi soggetti’, che provocherebbero allora l’intervento di qualche apparato repressivo dello Stato. Il «così sia» porterebbe a una sorta di reificazione dell’obbedienza e a un riconoscimento della realtà accettata come ‘la’ verità, il che assicura l’ordine e la riproduzione dei significati.
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