Di Plinio il Giovane, avvocato, console nel 100 d.C. e propraetore in Bitinia, ci restano poche opere tra cui 10 libri di Epistolari. 
In una lettera all’amico Licinio Sura, studioso scientifico col gusto di investigare fatti insoliti, racconta quanto accaduto al filosofo Atenodoro: costui, arrivato ad Atene, pur essendo venuto a conoscenza della fama sinistra di una grande casa con un basso prezzo di affitto, la sceglie comunque. Atenodoro si dota di stilus, pugillares et lumen per poter scrivere anche col buio. Nel silenzio della notte è disturbato da un rumore di catene, che si avvicina sempre di più al cubicŭlum destinato al suo riposo e lavoro: ritiene sia frutto della sua immaginazione e così continua a scrivere. Lo spettro, emaciato e spettinato, agita nuovamente le catene per catturare l’attenzione di Atenodoro, che finalmente lo nota: corrisponde a quanto le voci gli avevano anticipato. Il fantasma fa in modo di essere seguito per mostrare al vivo il luogo in cui giacciono le sue ossa, per cui chiede degna sepoltura.
Plinio nella 'epistula' cita tre volte lo stilus: è grazie a questo – che sottintende la cultura – che Atenodoro vince la paura, ossia, l’uomo colto e razionale non teme il sovrannaturale.
Conclusione: sia il fantasma, che Atenodoro si ritrovano padroni dello spazio che spettava loro, il defunto nella tomba, il vivo nella casa. La scrittura sta con la vita. Lo spazio della scrittura racchiude il mondo.
Plinius Minor, Epistulae ad Familiares, 7, 27
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