Dopo il Concilio di Nicea (VIII sec. d.C.), fu finalmente possibile rappresentare gli Angeli, che prima d’allora erano considerati troppo eterei e vicini all’eresia per poter in qualche modo esser ritratti: fu quello pertanto un intervento ecclesiastico molto importante, poiché pur non risolvendo certo la delicata questione della loro natura spirituale né del loro corpo celeste, affermò la possibilità di una loro rappresentazione visibile. Così mentre in Occidente la Chiesa si preoccupava soprattutto di purificare il culto degli Angeli e di mantenerlo entro i giusti limiti di una eccessiva devozione popolare, in Oriente occorreva difendere questa venerazione dagli attacchi degli iconoclasti, che erano assolutamente contrari a qualunque tipo di raffigurazione che rappresentasse Cristo o la Theotokos o i Santi o gli Angeli appunto. Prese così avvio “l’età d’oro” degli Angeli, che culminerà nel 1300 circa (nota 1), età in cui venne loro attribuito aspetto di uomini.
Abbigliamento. Scrive Marco Bussagli che la scelta della veste angelica non è casuale, ma obbedisce a cambiamenti precisi, largamente adottati e indubbiamente motivati. L’abbigliamento delle figure angeliche subisce infatti, nel corso dei secoli, notevoli varianti, determinate non soltanto dal mutare del gusto, ma anche dall’interferenza della moda vera e propria, dello scadere del significato di alcune tradizioni e, infine, dalla controversa questione che riguarda il sesso di tali esseri. Due comunque sono i capi di vestiario che più frequentemente caratterizzano l’aspetto degli Angeli classici: “dalmatica” e “pallio” (nota 2). Gli Angeli paleocristiani infatti indossavano una tunica, spesso bordata da due strisce ornamentali colorate/purpuree dette “clavi”: ma gli studiosi ritengono che “tunica” sia un termine troppo generico, prefendo parlare appunto di “dalmatica” (nota 3). Questa, di cui Giulio Capitolino (uno dei compilatori della Historia Augusta) ha lasciato breve descrizione era detta chiridotas dalmatorum, letteralmente traducibile con “tunica dei Dalmati dalle maniche lunghe fino alle mani”; assai simile era il colobium, veste ad ampie maniche, che veniva portata discinta, proprio come nei dipinti degli ipogei. La dalmatica, dunque, fungeva da sopravveste: al di sotto si portava una tunica talaris (lunga fino ai talloni) et manicata (con le maniche strette fino al polso), secondo l’uso della moda orientale; sopra si indossava il “pallio”, sempre fissato alla spalla sinistra. Questo “mantello” (l’himation dei Greci), essendo di forma rettangolare, si differenziava dalla “toga” (il costume nazionale romano) che era invece di taglio arrotondato. Gli Angeli paleocristiani, infatti, indossano quasi sempre un pallio ben drappeggiato, con un lembo di stoffa che ricade sul braccio sinistro (nota 4) e, se si osserva con attenzione gli Angeli che paiono sbalzare dall’oro delle tessere musive delle Chiese della Martorana, di Monreale o della Cappella Palatina di Palermo, per es., si nota appunto quanto qui affermato. Va ancora puntualizzato che esisteva anche un corrispondente del pallium detto palla: le matrone se ne cingevano, proprio come gli uomini vestivano la toga. Potremmo dunque dedurre che gli Angeli apteri indossanti il pallium sono di sesso maschile, tanto più che alcuni sono anche dotati di barba. D’altra parte le Scritture stesse confermano questa ipotesi: per es. l’Arcangelo Gabriele quando si presenta a Daniele (Dn. 8,15) appare “con le sembianze di uomo” e anche (Dn. 10,5-15) come “uomo vestito di lino con i fianchi cinti di oro di Ufaz”; ma anche l’Arcangelo Raffaele che accompagna Tobia, l’Angelo che si mostra alla futura madre di Sansone, gli Angeli ospitati da Abramo e da Lot... sono maschi. Verso la fine del 1200 verrà introdotta una variante rappresentativa: gli Angeli porteranno il pallio “girato” sulla destra, a dimostrazione di un vestire tradizionale che inizia a perdere l’esatto uso originario del mantello. Col passare degli anni così la “divisa” ufficiale angelica vien sostituita da una tunica tormentata da pieghe e da lunghi preziosi manti drappeggiati. Nel Medioevo altri due indumenti – derivati da Bisanzio – ricorrono nel guardaroba angelico: la “clamide” e il loros. La prima era un mantello alla greca, originariamente usato dai soldati e poi anche dai civili, data la sua comodità; era spesso ornata di una tabula/tablion, un quandrangolo di stoffa ricamato in oro applicato all’altezza del petto, segno dei dignitari di corte (gli Arcangeli di S. Apollinare in Classe di Ravenna per es. la indossano). Il loros (come nei quattro Arcangeli della Chiesa di Cefalù) era una striscia di cuoio (o stoffa) ornata di pietre preziose che gli alti dignitari imperiali e l’imperatore stesso si cingevano attorno al corpo: diventerà simbolo della sepoltura e della resurrezione di Cristo. Spesso inoltre l’Arcangelo Michele, gli ordini dei Principati, delle Potestà e delle Virtù sono rappresentati in armi, sia alla maniera militare romana sia con armature quattro-cinquecentesche: altri Angeli ancora vestono invece con abiti monacali o liturgici: ecco così gli Angeli-chierici (come quelli giotteschi nella “Madonna in maestà” degli Uffizi di Firenze), che si mostrano con una “tunicella” o tunica stricta bianca, stretta in vita e fregiata d’oro allo scollo ed ai bordi delle maniche, e gli Angeli-diaconi, che fanno uso della tunica alba o “linea”, di lino bianco quale segno di purezza e castità, dell’amitto (orarium ad collum, cioé la salvietta da collo che serviva – e tuttora lo fa – a riempire lo scollo della dalmatica, simbolicamente “freno della lingua”, che non deve quindi mai spazientirsi nelle difficoltà della vita, e quindi significa indulgenza) e del “piviale/pluviale”, il manto delle funzioni solenni indossato sulla tunica bianca (il Memlinc per es. soleva vestire così i suoi Arcangeli), in segno di santo contegno e simbolo di fatica, che Dio ricompenserà con la gioia eterna.
Ma bisogna spendere ancora qualche riga per quegli Angeli dal viso pronunciatamente femminile, che si diffonderanno, a gusto dell’artista, dal tardo Medioevo in poi. Ecco le vesti farsi più ricche e fruscianti, di stoffe più sontuose e morbide, a modellare persino le forme intuibili del seno: questa novità si riscontra soprattutto negli Angeli musicanti, come pure quella di indossare la “gonnella/sottana/gamurra” fluente fino ai piedi, aderente in vita e poi amplissima, spesso portata sotto la “pellanda/pellarda”, una maestosa sopravveste ad ampie maniche e lungo strascico... Nulla vieta di pensare che il modello dolcestilnovistico della donna-Angelo abbia influito sull’iconografia. Dal XV sec. in poi comparve un nuovo tipo di veste che guarniva con una sorta di rigonfiamento di stoffa gli angelici fianchi: il “guarnello”, un “abito a sbuffo”. Piero della Francesca, Masaccio, Raffaello e molti altri pittori dipingeranno così i loro Angeli.
Musica. In una miriade di opere è possibile ammirare schiere di dolcissimi Angeli musicanti, punto di intersezione tra l’armonia divina e quella del creato. Dunque che dire del canto degli Angeli? Gli occhi fissi su libri di bella rilegatura, o su cartigli svolazzanti in cui si legge Ascendet o Ave, i musici alati sembrano immersi in una musica interiore. Le bocche quasi sempre chiuse, i visi pallidi per la commozione che proviene dalla compenetrazione con i misteri del divino, in gruppi ora di due ora di tre, gli Angeli della grande orchestra gaudenziana fanno corona all’evento celebrato in onore dell’Assunta. "Così la circulata melodia/ si sigillava e tutti gli altri lumi/ facean sonar lo nome di Maria" (Dante, Paradiso, XXIII, 109). Questo passo tratto dall’introduzione al volume Il concerto degli Angeli – Gaudenzio Ferrari e la cupola del Santuario di Saronno – ben si adatta per descrivere il prototipo degli Angeli musicanti: ma certo le varianti sono infinite. Ora reggono l’organo portativo, l’arpa, la cetra, i fiati o le trombe, ora la lira da braccio, il liuto, l’altobasso, il flautino od il tamburo, ora la bombarda, i ciamballini o la cornamusa, ora i flauti, la viola o le ghironde. Con grazia indescrivibile, purezza eterea, abilità celeste il Van Eyck, il Meinlic, il Melozzo da Forlì, il Signorelli, Raffaello, il Domenichino, il Caravaggio, Rosso Fiorentino – per citare solo alcuni nomi – hanno dipinto e dato vita ad Angeli che fanno musica e ristorano l’anima: suonano melodie che sono in realtà sigillo indelebile dell’amore di Dio verso le Sue creature. Se sapremo assaporare dunque questi “concerti” rivolti totalmente alla glorificazione di Dio con tutto il cuore, fluiranno in noi suggestioni musicali, movimenti ed equilibri di stili sconosciuti e colori e note e accordi che ci daranno un inesprimibile piacere e un desiderio d’Assoluto.
Forse essere maggiormente informati sulla realtà degli Angeli, sul loro canto, sulla loro luce, sui loro colori e sulle loro forme può contribuire a rivestire anche il nostro mondo di quella Bellezza sublime che li caratterizza, consentendoci almeno di percepire il riflesso pur sempre abbagliante di queste magnifiche celestiali creature.
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