«Avrebbe mai sospettato che poche semplici lettere: alif, lam, ha, ba», indicò nel calligramma, con conturbante lentezza, Monsieur Sha’arani «potessero dar vita a tante sfumature?». Ersilia senza rendersene conto si attardava nel rispondere, restando a guardare rapita le lettere e la mano che le disegnava senza toccarle, quasi desiderando che lui potesse guidare anche il suo indice sulla traiettoria di quelle volute. Voleva farsi aspettare, come un’amante dal suo amore. E Monsieur Sha’arani forse se ne accorse, perché non appena lei fece per andarsene, lui la trattenne con le parole che man mano si facevano sempre più colorate di corniola, come il pigmento nella ciotola sul suo tavolo da lavoro. Fu così che le iperboliche narrazioni sulle ventotto lettere consonantiche dell’alfabeto arabo, scritte da destra a sinistra, alle quali vanno aggiunte tre vocali brevi (‘a’: fathah; ‘i’: kasrah; ‘u’: dammah) e una quarta inerte chiamata sukuun, che serve a indicare l’assenza di vocale, sedussero Ersilia. Si ascoltavano a vicenda, ugualmente distratti.
«Mia cara, alif, la prima lettera dell’alfabeto arabo – hurûf – è anche l’iniziale di Allah: la sua struttura grafica – una linea verticale sottile – afferma l’unicità divina. Nella preghiera islamica la posizione ritta simbolizza questa lettera», le spiegò il calligrafo. «La alif funge anche da unità di misura per tracciare tutte le altre lettere, come se fosse il diametro di un cerchio ideale entro cui inscriverle. La seconda lettera dell’alfabeto, la ba – una alif orizzontale sopra alla quale è posizionato un puntino –, è anche la prima lettera scritta del Corano: simboleggia l’estensione della creazione, sorretta dal punto dell’Essere; il punto diacritico sovrapposto alla lettera indica la trascendenza, inesprimibile segreto di Dio; i margini della alif orizzontale rappresentano i limiti della creazione, che pure è di estensione indefinita». Ersilia si sentiva sempre più disgregata e il suo volto si arrossava lievemente come una peonia. Un insano desiderio di continuare ad ascoltare quella voce la invase come un’infezione e le fece riaffiorare alcuni ricordi delle serate con sua madre, in cui le aveva raccontato del calamaio, generatore di tutto un alfabeto immaginario o calligrafico, e del simbolismo numerico occulto, spesso evocato dai mistici. Monsieur Sha’arani quasi si commosse davanti a questa conoscenza e fu certo che non esistesse salvaguardia contro il senso naturale dell’attrazione che indiscutibilmente lavorava con forza tra loro. Accompagnando con sguardi sempre più intensi altri racconti di corrispondenze di parole, le disse, quasi fosse una narrazione, che uguali sono le lettere radicali che compongono sifr, vocabolo traducibile con ‘volume’, in origine un rotolo, il volumen appunto, qualcosa che si svolge man mano che lo si legge, a quelle di safar, altro svolgersi: della terra sotto i piedi, man mano che si viaggia… «Lo stesso gioco, mia cara, si ritrova nelle radicali di qalb e qalab: il primo, cuore che batte, il cuore nel cuore delle cose, in cui c’è il germe del loro capovolgimento, qalab, appunto, ossia rovescia, scomponi, capovolgi. Come dire: più sei vicino al cuore e più sei vicino alla trasformazione».
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Questo brano, tratto dal mio racconto In un tempo sospeso, testimonia quanto io ammiri l’eleganza raffinata della lingua araba. Essa appartiene famiglia camito-semitica, come l’ebraico e, sembra, il berbero; è collegata a lingue oggi scomparse o pochissimo utilizzate, come l’aramaico, il siriaco, l’antico egiziano e il libico. Il persiano invece è una lingua indo-europea, come le lingue romanze. Il turco, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’impero musulmano, appartiene, invece, a un terzo ceppo, quello delle lingue altaiche, come il mongolo.
L’alfabeto arabo – hurûf – possiede un simbolismo numerico occulto, spesso evocato dai mistici: le corrispondenze numeriche delle lettere pare abbiano forti affinità con la gematria ebraica. Il primo gruppo di nove lettere rappresenta i numeri da uno a nove; il secondo gruppo, i numeri da dieci a novanta; il terzo da cento a novecento e l’ultima lettera che rimane rappresenta il mille. Curiosamente l'alfabeto fu suddiviso in riferimento ai quattro elementi ed utilizzato in ambito magico per provocare effetti sul piano fisico e mentale. Ad esempio, parole con lettere d’acqua servivano per acquietare le febbri, quelle di fuoco per guarire malattie in rapporto con il freddo.
Le lettere radicali di ogni parola possono sviluppare fino a dieci diverse forme verbali da cui derivano per ognuna molti termini.
Secondo alcuni autori le ventotto lettere avrebbero una certa corrispondenza con le case stellari dello zodiaco mentre, secondo altri, con le stazioni lunari. Alcune lettere sono dotate poi di un significato simbolico intrinseco. Così come ogni lettera ha un suo proprio valore, ogni parola può essere combinata e scombinata per giungere alla radice dei significati. Tramite le lettere si può giungere alla conoscenza della struttura qualitativa e quantitativa di ciò che le parole designano, al fine di elevare le proprie facoltà mistiche-religiose. La “tecnica mistica” delle lettere nell’Islâm è denominata Jafr: contiene l’intelletto universale cui si accosta la Jâmi’a, l’anima universale.
Una specificità di questo alfabeto è che distingue lettere solari e lettere lunari, che si differenziano in presenza dell’articolo determinativo (ال, al): le solari realizzano un fenomeno di assimilazione regressiva con la lām che le precede, le lunari no:
ال al– + شَمْس šams, “sole” > [si scrive] الشَمْس [si pronuncia] aš-šams, il sole
al– + قَمَر qamar, “luna” > [si scrive e si pronuncia] القَمَر al-qamar, la luna
Di conseguenza ﻥ, ﻝ, ﻅ, ﻁ, ﺽ, ﺹ, ﺵ, ﺱ, ﺯ, ﺭ, ﺫ, ﺩ, ﺙ e ﺕ; che si comportano come šīn nella parola sole (shams) sono dette solari; ﻱ, ﻭ, ﻩ, ﻡ, ﻙ, ﻕ, ﻑ, ﻍ, ﻉ, خ, ﺡ, ﺝ, ﺏ e ﺍ che assumono un comportamento come la qāf in luna (qamar) sono dette lunari.
Infine un’ultima curiosità: il Calamaio, che simbolizza le lettere dell’alfabeto in stato indifferenziato, prima che il Calamo dello scriba le disegni, genera tutto un alfabeto immaginario o calligrafico.
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Trovo molto interessanti le due iportesi etimologiche del vocabolo اِسْم ism, nome:
- dalle radicali sin, mim, wa سمو essere alto; elevarsi, dominare > aspetto essenziale e permanente del nome, che designa la realtà essenziale del nominato;
- dalle radicali wa, sin , mim وسم porre un segno (su qualcosa, come per es. avere uno sguardo profondo) > aspetto formale del nome, che definisce la realtà manifestata del nominato.
Tale complementarietà evidenzia la duplice dimensione dell’essere: essenza & apparenza.
Nella società araba tradizionale ogni persona si distingue per un insieme di qualifiche che ne determinano in modo assolutamente preciso la sua identità:
اِسْم ism, il nome proprio (es. عَلِيّ ʿAlī – nobile, elevato, alto –; فَاطِمَة Fāṭima – giovane cammella svezzata; colei che è allontanata dal fuoco).
كنية kunya, il nome di paternità / di parentela, un appellativo composto da أَبُو ʾabū, “padre”, o أُمّ ʾumm, “madre”, seguito in genere dal nome del primogenito: ad es. أبو الحسن Abū ‘l-Ḥasan (“il padre di Ḥasan”); أم سلمة ʾUmm Salama (“la madre di Salama”).
نِسْبَة nisba, il nome di filiazione / di relazione, indica l’appartenenza tribale o il luogo di origine, di soggiorno o di decesso (città, regione, paese): ad es. al-Miṣrī (“l’egiziano”).
لَقَب laqab, il soprannome, può essere un epiteto onorifico, legato alla religione o al potere: ad es. صلاح الدين Ṣalāḥ ad-Dīn (“integrità della religione”).
A questi elementi si possono aggiungere: la designazione del rito religioso, ad es. الْمَالِكِي al-Mālikī (“che segue la scuola giuridica malichita”); oppure l’indicazione del mestiere esercitato, ad es. الغزالي al-Ghazzālī (“il filatore”).

Per noi occidentali l'arabo classico (lettarario o standard) è la lingua ufficiale dei Paesi arabi, ma la tradizoone araba preferisce la dizione la lingua araba eloquentissina اللغة العربية الفصحى al-luġa l-ˁarabiyya l-fuṣḥā, là dove 'lingua' intende la facolta umana del linguaggio.
Ovviamente esistono vari dialetti nel parlato ( عَامِّيَّة ˁāmmiyya, “lingua parlata; dialetto”, più usato nel Mashreq, o دَارِجَة dāriǧa, “lingua corrente”, più usato nel Maghreb).
Nel mondo arabo contemporaneo esiste una situazione lingustica di diglossia, dato che coesistono, influenzandosi a vicenda, la varietà alta, l’arabo moderno standard o fuṣḥā, lingua ufficiale di ogni Stato, della letteratura, della stampa, dell’amministrazione, dell’istruzione e dei mezzi di comunicazione; e una varietà bassa, il dialetto o ˁāmmiyya o dāriǧa o lahǧa, lingua della comunicazione quotidiana.