L’egittologa Barbara Faenza [1] racconta che la dea del cielo Nut e il dio della terra Geb – fratelli, sposi e amanti [2] – innamorati fino alla follia, non curandosi del volere delle divinità più anziane, si incontravano in segreto. Uniti in un eterno amplesso, erano così strettamente avvinghiati da non lasciare spazio alcuno tra loro, il che significava che per consentire il farsi della vita si rendeva necessario dividere i loro due corpi: ingrato compito che si assunse Shu, loro padre, che sollevò Nut, separandola per sempre dal suo amato Geb. Troppo tardi, però! Il «cielo era gravido» come scrivono i testi egizi e Nut doveva partorire.
Plutarco e non i testi egizi narrano il resto della storia.
Il dio sole Ra (rappresentato come uomo dalla testa di falco sormontata dal disco solare e dal regale ureo), non è dato di sapere per quale motivo, in preda al furore, lanciò contro Nut una maledizione che le avrebbe impedito di partorire durante i 360 giorni che formavano l'anno lunare.
Nut trovò appoggio in Thot (il dio dalla testa di ibis), che, data la sua saggezza, fece ricorso a un astuto stratagemma: sfidò il dio della luna, patrono del tempo, a una partita a Senet: se Thot lo avesse battuto, lui avrebbe dovuto donargli un po' della sua luce. E così accadde. Quel dono di luce, ottenuto dopo una sfida sfibrante di ore perché la partita fu davvero spettacolare, data la perizia dei giocatori, bastò a illuminare il mondo per cinque giorni posti alla fine dell’anno, allungandolo. [3] Proprio in quei giorni Nut, libera dalla maledizione di Ra, avrebbe potuto partorire. Una spiegazione mitologica per giustificare il passaggio dal calendario lunare a quello di 365 giorni, ancora oggi in essere. [4]
Ma come si giocava con la Senet?
Considerata uno degli antenati del Backgammon [5], la Senet è un gioco egizio, uno dei più antichi al mondo di cui si abbia notizia certa, grazie alle registrazioni risalenti alla I dinastia (3300 a.C. circa) [6]. Molti esemplari sono stati ritrovati nelle tombe, inclusa quella di Tutankhamon (in legno e avorio). La sua diffusione fu così ampia che si ha notizia che si giocasse anche in altri Paesi dell’attuale Medio Oriente e del Mediterraneo.
Il termine Senet o Sen't o Senat significa ‘spostamento, passaggio’, con riferimento, oltre alla dimensione ludica, a quella spirituale: ecco che la Senet, la cui invenzione si fa risalire al dio Thot, rappresenta il periglioso viaggio dell’Anima nell’oltretomba egizio, la Duat. Nell'introduzione al capitolo 17 del Libro dei Morti (capitolo intitolato ‘Per entrare nel mondo inferiore e uscirne’), è descritta come una delle occupazioni del defunto nell'aldilà – rappresentato spesso in compagnia della moglie, seduto alla scacchiera, ma senza avversari –: come molte altre attività attribuite alla vita ultraterrena, anche giocare alla Senet era qualcosa che il defunto aveva già fatto durante la sua vita umana. È ipotizzabile che le figure e i simboli raffigurati nelle caselle del percorso diventino anche strumento e occasione di studio e memorizzazione del testo sacro. Inizialmente fu un gioco per i faraoni e i membri delle classi sociali più alte, ma, intorno al 1500 a.C. si diffuse a chiunque, assumendo un forte significato religioso: si collega la vita nell’Oltre al risultato di una partita di Senet, giocata fra il defunto e il Destino in persona.
Lo scopo del gioco (per due persone) è una corsa in cui tutti i pezzi devono uscire dal tavoliere – tre righe di dieci caselle ciascuna, per un totale di trenta caselle – prima di quelli degli avversari. Trenta non è certo un numero casuale nell’Antico Egitto, in cui il calendario lunare è composto da mesi di trenta giorni; trenta sono le dinastie faraoniche individuate da Manéthon nel III secolo a.C. e trenta sono le divinità che compongono il Collegio Supremo dell'pantheon. Le pedine sono 10, di due colori diversi, e si posizionano nelle caselle e non negli incroci; si muovono lungo un percorso bustrofedico. A questi oggetti vanno aggiunti quattro bastoncini con una faccia scura e l'altra chiara: ciascun giocatore, a turno, lancia i bastoncini fino a quando uno dei due ottiene un 1. Uno specifico punteggio corrisponde a ogni lancio:
- tre bastoncini scuri: 1 passo;
- due bastoncini scuri: 2 passi;
- un bastoncino scuro: 3 passi;
- quattro bastoncini chiari: 4 passi;
- quattro bastoncini scuri: 6 passi.
Quando uno dei due giocatori ottiene un 1, gli vengono immediatamente assegnate le pedine inizialmente collocate nelle caselle pari e può effettuare la prima mossa, che consiste nel muovere una pedina del proprio colore esattamente del numero di passi ottenuto con il lancio dei bastoncini.
Le pedine possono muovere solo in avanti, lungo il percorso; non è previsto retrocedere. Una pedina non può terminare la propria corsa in una casella occupata da una pedina del medesimo colore. Una pedina può terminare la propria corsa in una casella occupata da una pedina avversaria, catturandola, a meno che quest’ultima non faccia parte di un gruppo di due o più pedine del medesimo colore poste su caselle consecutive. La pedina “catturata” viene spostata nella casella di partenza della pedina catturante.
Casella 26 = “Casa della Felicità” o “Casa di Nefer”: la pedina che vi si trova è al sicuro e non può essere catturata: il giocatore che la raggiunge ha inoltre immediatamente diritto ad un ulteriore lancio dei bastoncini.
Casella 27 = “Casa dell’Acqua”: la pedina che la raggiunge deve immediatamente tornare alla casella 1 del percorso, oppure, se questa dovesse essere occupata, alla prima casella libera successiva.
Caselle 28, 29 e 30 = rispettivamente “Casa di Maat”, “Casa di Rê-Atum” e “Casa di Horus”: le pedine che si trovano in queste caselle non possono essere catturate.
Le regole originali del gioco sono sconosciute, ma sono state sviluppate alcune diverse ricostruzioni basate su disegni di tombe, frammenti di iscrizioni e disegni geroglifici sul tabellone stesso. Esistono così molte varianti proposte da diversi archeologi che hanno studiato la Senet: Jéquier, Kendall e Finkel (prevede l'utilizzo di 7 pedine a testa), Bell (10 pedine a testa), Tait (5 pedine a giocatore), etc.
La più antica rappresentazione pittorica compare sulla tomba di Hesy, a Saqqarat, risalente alla III dinastia e databile attorno al 2650 a.C.: questo dipinto mostra il gioco dall'alto e sono pertanto chiaramente visibili tre file di dieci caselle ciascuna; vi sono inoltre raffigurate due serie di pedine (sette piccole e sette più grandi) e quattro bastoncini. Un tavoliere ritrovato nella tomba di Ak-hor ha la particolarità di essere composto da tre file di 12 caselle, anzichè 10; tre caselle sono inoltre marcate con uccelli.
Il gioco si accompagna spesso al Tau (o Gioco delle venti caselle): sono stati infatti ritrovati tavolieri che presentano da un lato il tavoliere della Senet e dall'altro quello appunto del Tau.
Oltre alla Senet, è appurato che esistessero altre tipologie di giochi simili. Livio Secco (Quaderni di Egittologia, 17, Giochi d’Egitto_i divertimenti dei Re) tra i più diffusi, cita Cani e sciacalli (come lo battezzò l’archeologo Howard Carter data la forma delle teste delle pedine), o Shen, o gioco della palma, un gioco da tavolo per due giocatori molto comune anche in Palestina, Mesopotamia e Assiria e Caucaso. Una scatola in legno rettangolare a forma di mobile, appoggiata sulle zampe di animali, costituisce la scacchiera, la cui parte superiore è decorata con la figura di una palma e un percorso di cinquantotto fori, sicuramente alloggiamenti per le pedine a forma di piolo che possono essere spostate solo in avanti e mai all’indietro. Nel cassetto all’interno della scacchiera ne sono conservate dieci: corti bastoni, cinque scolpiti con la testa di un cane e cinque con la testa di sciacallo. Si tratta, infatti, appunto di un gioco di corsa tra una squadra composta da cinque sciacalli e un’altra formata da cinque cani da caccia che si effettua intorno a una palma seguendo un tracciato dedicato ad ogni squadra. Lo scopo del gioco è quello di far percorrere a tutta la propria squadra il tracciato di trenta caselle fino alla trentunesima contrassegnata dal geroglifico šnw, la forma iniziale del cartiglio che rappresenta un anello di corda annodato alla base; šnw era lo strumento essenziale del catasto egizio (la radice verbale šni stabilisce che tutto ciò che il sole circonda è proprietà del faraone). La trentunesima casella è in comune tra i due tracciati che, pur sviluppandosi verso direzioni diverse, convergono in essa come punto finale di arrivo. Il gioco richiede una certa strategia per gestire le opportunità e gli imprevisti creati con il lancio di astragali, [7] opportunamente sagomati (presentano quattro facce: quella superiore fa avanzare di due caselle, quella inferiore di tre caselle, quella laterale non fa avanzare di nessuna casella). Come per la Senet, non ci sono arrivate le testimonianze delle regole di gioco.

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note
[1] Storica, National Geographic, 2021.
[2] Secondo la cosmogonia eliopolitana, i figli delle prime divinità in assoluto – il dio Shu e la dea Tefnut (dèi dell'aria e dell'atmosfera, o dell’umidità)  erano la dea del cielo Nut (forma di donna con aderente abito lungo fino alle caviglie, rappresentata anche completamente nuda con il corpo blu cosparso di stelle) e il dio della terra Geb (fattezze di uomo con la pelle di colore verde, decorata con disegni di piante; sul capo indossava la Corona Rossa del Basso Egitto, il Nord del paese, oppure poteva sfoggiare l’immagine di un’oca, il geroglifico del suo nome).
[3] Plutarco riferisce di come i cinque giorni vennero intercalati all'anno di trecentosessanta giorni: curiosamente ancor oggi gli Egiziani li chiamano «intercalari» e li festeggiano come genetliaco degli dèi.
[4] I nuovi giorni vennero chiamati i “giorni in più”: le divinità che vi nacquero dagli amplessi di Geb e Nut perturbarono con le loro battaglie la quiete degli dèi più antichi, tanto che furono chiamati anche “figli del disordine” (Osiride, Iside, Seth e Nefti).
[5] La sua origine viene comunemente fatta risalire al Gioco Reale di Ur, ritrovato nella tomba di un re sumero durante gli scavi nell'omonima antica città mesopotamica, nell'attuale Iraq. Platone accenna alla popolarità di cui un gioco simile gode tra i Greci; Sofocle ne attribuisce l'invenzione a Palamede, che in tal modo passava il tempo durante il lungo assedio alla città di Troia; Omero lo menziona nell'Odissea. Un gioco costituito da una tavola e tre dadi si conquista il suo posto d'onore anche nell'antica Roma: si tratta del ‘Duodecim Scripta’ (Gioco delle dodici linee), che successivamente prende il nome di Alea o Tabula. Nel Medioevo se ne contano diverse varianti: Tavola Reale in Italia, ma anche Tric Trac come in Francia, Tablas Reales in Spagna, Tavli in Grecia, Tavla in Turchia, Backgammon o Tables in Gran Bretagna, Puff in Germania, Vrhcaby in Cecoslovacchia, Swan-liu in Cina, Golaka-Krida in India. Nel 1743, Edmond Hoyle pubblica una prima codifica organica delle regole, mentre il dado del raddoppio viene invece inventato negli Stati Uniti solo nel 1928. Il nome italiano e francese del gioco Tric-Trac verosimilmente è la traslitterazione approssimativa del greco Tris Tracon, epiteto greco del gioco che significa ‘tre volte giro tortuoso’, con l'accezione di gioco difficile. Alcuni studi storici evidenziano i significati simbolici del gioco: nel Backgammon, potrebbe essere rappresentato il ciclo annuale e giornaliero della vita umana: i 24 punti potrebbero rappresentare le 12 ore del giorno e le 12 della notte, ma anche i 12 mesi dell'anno, le 30 pedine i giorni del mese. Anche i due dadi potrebbero rappresentare il giorno e la notte e la somma dei punti ai lati opposti di un dado potrebbe far riferimento ai giorni della settimana ma probabilmente anche ai pianeti allora conosciuti. La compresenza di elementi cromatici discordanti (le punte della tavola, le pedine) sembra invece rappresentare la visione dualistica del mondo nella antica cultura indoeuropea caratterizzabile dal conflitto tra il bene e il male, la vita e la morte. Il Backgammon, nella sua capacità di miscelare componenti di abilità e fortuna, simboleggia perciò una certa visione dell'esistenza umana. L'esito di una partita non può essere pianificato a priori così come il successo nella vita: la sorte è importante quanto l'ingegno.
[6] Il reperto più antico è una tavoletta di terracotta rinvenuta in un cimitero a El-Mahasna (Alto Egitto), risalente al 3300 a.C., oggi conservata nei Musées Royaux d'Art et d'Histoire di Bruxelles. Due tavolette che risalirebbero al 3000 a.C. sono state ritrovate ad Abu Rawash, a nord-est di Giza sulla riva occidentale del Nilo. In un modellino di barca (XII dinastia) conservato presso l'Ashmolean Museum di Oxford, due giocatori giocano a Senet, con il tavoliere disposto in modo che i lati lunghi siano di fronte a loro.
[7] Ossa del tarso posteriore, cioè l’osso del tallone, di piccoli mammiferi come gli ovini o i caprini.
la Regina Nefertari, gioca a Senet_tomba QV66
la Regina Nefertari, gioca a Senet_tomba QV66
Metropolitan Museum of Art, New York
Metropolitan Museum of Art, New York
la mia riproduzione della Senet
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