In generale il drago appare presso tutti i popoli in epoche e latitudini diverse, necessario allo spirito. Ignorare il senso del drago è come ignorare il senso dell’Universo: se non esistesse occorrerebbe inventarlo. Nell’I-Ching, il «Libro dei Mutamenti», il drago s’identifica con il saggio. Il drago da passeggio che offro agli amici, originario dell’India, è il noto drago del Panjab, di piccola taglia, di singolare intelligenza e vago aspetto.
Deliziosa questa geniale idea di Eugenio Mollino, talentuoso architetto polimorfo quanto esorbitante, che come me (l’unica cosa che ci accomuna, insieme alla fascinazione per l’antico Egitto) amava la notte e dormiva di giorno. Nel 1963 si inventa niente di meno che un aristocratico “drago da passeggio”, un ventaglio di carta, con adeguato guinzaglio, di raffinatezza esagerata, come regalo di fine anno per gli amici più cari e, soprattutto, più spiritualmente preparati. Proponeva di cavalcarlo per alterare l’ordine del mondo, che già nel suo tempo precipitava a capofitto verso l’osceno. Il ruggito di carta di un drago, insomma, a sovvertire i feroci e velenosi morsi del tempo presente? un’intuizione magnifica.
Creatura appartenente alla fauna mitologica, fantastica e favolosa, ma anche spesso effigiata in chiese e tele d'autore, il DRAGO. Rettile o pesce immane con bocca multilingue e ignivoma (ossia, che vomita fuoco), fiato pestifero, ali di pipistrello, zampe ritorte, pelle squamosa e striata sotto l'addome, sguardo acuto e spesso omicida.[1] La sistematica zoologica moderna attribuisce il nome drago a un genere di sauri della famiglia agamidi (lat. scient. Draco), comprendente una ventina di specie delle isole della Sonda e dell’Asia sud-orientale: si tratta di animaletti arboricoli, a vivaci colori e coda lunga, graziosi e innocui; sempre denominata ‘drago’ è anche una varietà di pesci rossi, del genere carassio, caratterizzati da una pinna caudale sviluppatissima, a guisa di vela. Con la dicitura sangue di drago, si intende invece una resina ricavata dai frutti di alcune specie di palme rampicanti. I draghi ricorrono anche in araldica, in cui figurano come simbolo degli eretici e dei capi musulmani, ma dove ricoprono anche un ruolo positivo, quali segni di vigilanza o di ardore o quali “armi parlanti”.
Il drago, attraverso il latino draco – dal greco δράκων, drákon, drago [2], ma anche serpente –, oggi è un essere molto rivalutato, anche per influsso della cultura orientale che gli ha sempre conferito un valore positivo. Se l'antichità fece di lui il custode del vello d’oro, dei giardini delle Esperidi o della fonte Castalia, il medioevo col cristianesimo finì con l’assimilarlo al simbolo del demonio, mentre per i nobili cavalieri costituì l’immagine degli ostacoli che si frappongono alla virtù. Lottare col drago, infatti, ha da sempre significato combattere la potenza malefica, fino a che, oggi in senso figurato, essere un drago, addirittura sottintende il concetto di persona dotata di capacità eccezionali; meno spesso, impetuosa, violenta, scatenata, forse con uno sguardo a Dante, in cui per certi versi covava anche un’anima di scrittore fantasy: coniò, infatti, il gustoso verbo ‘indragarsi’ tanto che Cacciaguida, in Paradiso XVI, descrive una famiglia fiorentina che «s’indraca / dietro a chi fugge, e a chi mostra il dente / o ver la borsa come agnel si placa», per dire che di incrudelisce come un drago contro gli inermi, mentre si mostra agnello con i violenti e i ricchi. Curiosamente la lingua rumena con il verbo îndrăgosti intende invece ‘innamorarsi’, evocando l’immagine di amori infuocati e feroci; purtroppo parrebbe però che l’origine risalga allo slavo dragostŭ, ossia, miracolo.
In 'Pensieri del Tè', Guido Ceronetti (che tra le sue variegate attività, vanta anche quella di traduttore di alcuni libri della Bibbia) scrive: «Visto come un grande il Mondo è puro e vivente Satana, noi i suoi parassiti». Se in Ap.,12,9 Satana è il nome in cui s’identificano il serpente del giardino di Eden e il grande drago escatologico, lo sguardo gnostico del filosofo scava più a fondo, fondendo a questi rettili il drákonta orfico: il Tempo-Chronos. Ecco che Ceronetti vede l’umanità condannata a conoscere la vita solo attraverso le spire cronolatriche di questa immonda Bestia.
Nella tradizione ebraica, il drago/serpente è colui che avvelena il mondo con il peccato e pertanto chiunque abbia a che fare con questo essere, deve esser vinto e bandito. Se si trova un primo profilo psicologico del rettile in Genesi, 3,1: “il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche, che Jahvè Dio aveva fatto” (presentazione questa del diavolo, il tentatore per antonomasia), nell'Antico Testamento si incontra il drago conosciuto come ‘leviatano’, animale mostruoso senza uguali (Giobbe, 40 e 41): “si resta sgomenti al solo vederlo”, “nessuno è così ardito da provocarlo”, “chi lo ha assalito e ne è uscito salvo? Nessuno, sotto ogni cielo”, “intorno ai suoi denti è il terrore! Il suo dorso è una fila di scudi, strettamente serrati, con sigillo”, “il suo starnutire irradia luce: gli occhi sono come le palpebre dell’aurora. Dalla sua bocca partono fiaccole, sprizzano scintille di fuoco. Dalle sue narici esce fumo come da caldaia accesa e bollente. Il suo soffio accende carboni, fiamme escono dalla sua bocca”, “il suo cuore è duro come una pietra”, “quando si rizza, temono anche i forti, per il terrore restano smarriti”, “egli è il re di tutte le bestie feroci”. E ancora in Isaia 27: “in quel giorno Jahvé punirà con la spada dura, grande e forte, il leviatan serpente che guizza, e il leviatan serpente tortuoso, e ucciderà il serpente marino”. Altro mostro biblico è quello citato in Giobbe 26, 12: si tratta di Rahab, simbolo del mar Rosso e quindi dell'Egitto, anche se primitivamente era il mare indomato (si pensava infatti che questa orribile creatura, col suo inquieto agitarsi, provocasse la tempesta). Ma certo dobbiamo all'Apocalisse (12) la descrizione più dettagliata del più celebre drago delle sacre scritture: “e fu visto un altro portento nel cielo: ecco un dragone rosso-fuoco, grande, avente sette teste e dieci corna[3] e sulle sue teste sette diademi, e la sua coda trascina la terza parte delle stelle del cielo, e le gettò sulla terra”. Ecco dunque tra gli astri, all'improvviso, profilarsi l’agente della perdizione eterna, un mostro di forme spaventose e proporzioni immani, di colore funesto simboleggiante la guerra intestina, perché insaziabile di strage e di rovina. È un rettile enorme, per lo più vagante nel mare, pronto ad attentare alla vita degli imprudenti che ad esso si espongono. È l'ostilità a Dio. È Satana, il serpente antico che ha rovinato l'umanità e che con la sua coda trascina, grazie al suo potere d'inganno, gli angeli ribelli. Ma il dragone ha un nemico ben definito: è la donna, davanti alla quale “si pose”, si fermò; ma è anche principalmente il figlio che “essa sta’ per partorire”. “E avvenne una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli guerreggiavano contro il dragone” e alla fine il mostro “che seduce l’intera terra abitata” fu gettato nel mondo, ma vinto definitivamente da Cristo, la salvezza.
Nella tradizione cristiana, il drago riappare più tardivamente nelle leggende di numerosi Santi: prototipo di queste narrazioni è certo quella riguardante Giorgio di Cappadocia, ufficiale delle milizie di Daciano, imperatore dei Persiani (o di Diocleziano, imperatore dei Romani, secondo altri). Giorgio distribuisce beni ai poveri e si dichiara cristiano davanti alla corte: il martirio è così inevitabile e una visione del Signore gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione. Sezionato in due, con una ruota irta di spade, risuscita, convertendo prima il mago Atanasio, poi il magister militum Anatolio e tutte le sue schiere, che vengono passate a fil di spada. Risuscita diciassette persone morte da quattrocentosessant'anni e le battezza; entra in un tempio pagano e con un alito abbatte gli idoli. Prima di venir di nuovo decapitato converte l’imperatrice Alessandra, quindi promette protezione a chi onorerà le sue reliquie.[4] L'episodio (che ha affascinato e ispirato tanti pittori) della liberazione della fanciulla dal drago, fa parte di una leggenda successiva che pare risalga al tempo dei crociati: a Silene (Turchia) o a Cirene (Libia) esisteva un lago circondato da montagne. Un'unica strada permetteva il passaggio verso la città, ma nessuno osava avventurarvisi a causa di un terribile drago che pretendeva in pasto pecore e fanciulli. A questo orrido tributo non poté sottrarsi neppure il re, che dovette concedere Sabra, sua figlia. Ecco apparire un nobile cavaliere armato di lunga lancia, che audacemente sconfisse il drago (non diversamente da quanto fece Perseo per Andromeda). Forse pochi santi hanno riscosso tanta venerazione popolare quanto Giorgio e a testimonianza di ciò sono le innumerevoli chiese dedicate al suo nome. Genova, Barcellona, l'Inghilterra e la Lituania lo hanno come patrono; l'Ordine Teutonico, quello della Giarrettiera, l'ordine militare di Calatrava di Aragona e il sacro ordine militare costantiniano di san Giorgio gli sono devoti; con san Sebastiano e san Maurizio è protettore dei cavalieri e dei soldati, degli arcieri e degli alabardieri, degli armaioli e dei sellai.
Un altro drago vinto da un santo si incontra nella leggenda di san Michele arcangelo; uno ancora viene esorcizzato da san Filippo, mentre un altro divora santa Margherita raccolta in preghiera, che però, grazie alla croce che teneva tra le mani, riesce ad aprirsi un varco nella pancia del mostro e a uscirne indenne. Invariabilmente dunque il drago nella tradizione cristiana è sempre considerato incarnazione satanica, vinto però dalla superiore forza della santità, che non può che trionfare sul paganesimo.
Alieni, terrificanti, mostruosi e repellenti i draghi continuano insomma a minacciare la tranquillità psicologica dell’Uomo di ogni tempo. Eppure la loro sinistra fama di distruttori del mondo e nemici degli uomini è controbilanciata dalla loro aura, che per molti popoli sfociò nell’attitudine ad adorarli e venerarli come dèi. Ecco che il drago, infatti, è presente, in quasi tutte le letterature del Mediterraneo antico, oltre che in quelle dell'estremo Oriente e del centro America. Nell’Egitto faraonico, per es. l'ureo o serpente sacro (il “più antico degli antichi”) era icona del potere supremo, tanto da esser compreso tra i distintivi regali; In Egitto la presenza del drago era messa in relazione con ogni cambiamento. Ogni sera quando Ra, il dio del Sole, si posava dietro all’orizzonte occidentale si dirigeva a bordo della sua nave nelle viscere della terra e oltrepassava il Regno dei Morti, dove la potenza di Apopi non conosceva pari. Ecco che persino l’alternarsi del giorno e della notte, descritti appunto come il viaggio di Ra, dipendevano dal combattimento con il drago: ogni notte quest’ultimo veniva sconfitto da un esercito celestiale condotto da Seth, dio delle tempeste dal volto di iena, e poi, infine, il cielo si rischiarava. Ma esistevano numerose altre divinità simili: Apep, il drago malefico simbolo delle tenebre demoniache che contrasta quotidianamente il passo alle forze della luce; Sata, il mitico serpente in cui il defunto si trasforma; Mertseger (“amica del Silenzio”), Renenet (protettrice dei neonati e dea del raccolto) e Buto (dea-cobra alleata di iside) dee benevole serpentiformi.
Numerose anche le leggende fiorite in terra mesopotamica, ove eroi audaci affrontano draghi terribili: ecco il dio della guerra e della caccia Ninurta/Ningirsu (forse il Nimroo biblico) che, dopo lunga lotta uccide Asag, il demone della malattia; ecco il sumerico Gilgamesh, che coraggiosamente affronta e vince l'orribile Humbaba, il custode dei cedri; ecco ancora il babilonese Marduk, dio figlio del sole, che colpisce l'alato Tiamat, principio negativo del mondo. Anche la mitologia greca è popolata di mostri draghiformi quasi tutti derivati da Echidna, metà donna e metà serpente, moglie di Tifone e madre dell'idra di Lerna, di Chimera, di Cerbero, del leone di Nemea, di Scilla e Cariddi, del drago della Colchide... Tra gli eroi, che devono fronteggiare, nel corso delle loro imprese, draghi e serpenti, citiamo almeno l'onnipresente Eracle (contro l'idra a sette teste della seconda fatica e contro Ladone, custode dei pomi d'oro nell'undicesima fatica, mito questo cui si deve la costellazione del “serpente”, appunto immagine del drago sulla volta celeste; e ancora, contro il mostro marino inviato da Poseidone, cui stava per esser sacrificata – già incatenata a uno scoglio – la bella Esione, figlia del re Laomedonte di Troia), Perseo (che salva la giovane Andromeda, nuda ed ingioiellata, anch'essa già pronta su una roccia per esser sacrificata al mostro marino Ketos), Cadmo (che su consiglio di Atena uccide il tremendo drago che sorvegliava la fonte Castalia e che divorava chiunque si avvicinasse a quel luogo dedicato ad Ares: anzi dalla semina dei suoi denti, nacquero degli uomini armati, che poi si uccisero tra loro. Solo cinque, gli sparti, sopravvissero e da essi discesero altrettante illustri famiglie tebane) e Giasone (che, per conquistare il vello d'oro, deve anch'egli sconfiggere il drago, facendo ricorso al supporto magico di Medea). E ancora: Vṛtra, nella cosmogonia vedica, è il titanico serpente che avvolge e costringe in sé l’intera esistenza cosmica, in caos indistinto che mima quella dell’Uno, mentre in realtà si gonfia nella contemplazione di sé. È destinato a morire assassinato dalla folgore di Indra, principale divinità vedica indiana; Fafnir, il drago germanico (che nel “canto dei Nibelunghi” custodiva il loro tesoro) ucciso dalla spada di Sigfrido[5]; Thrain, il re-drago finito da Hromind Gripson, eroe scandinavo (la prua delle navi vichinghe – drakar – era ornata da una scultura di drago, così come lo erano gli scudi da battaglia); il drago rosso del Galles fu vinto dal mitico re Lludd, fondatore di Londra, e così via.
In Cina, invece Chiao, il drago [6], è il più antico animale mitologico /risalirebbe almeno al tremila a.C.), simbolo benevolo però di fortuna e lunga vita, tanto da esser emblema stesso dell'impero e del suo sovrano. In quel Paese i draghi, infatti, sono ovunque: nelle leggende, nei festival, nell'astrologia, nell'arte, nei nomi e nei modi di dire. Avrebbero anche un presunto controllo sui fenomeni acquosi, essendo ad esempio in grado di provocare rovesci durante un lungo periodo di siccità. Durante il capodanno cinese, molte celebrazioni iniziano con la danza del drago, il cui scopo è quello di chiedere un prospero nuovo anno lavorativo agli dèi dei draghi.
In Giappone, i draghi sono conosciuti fin dall’antichità come creature soprannaturali legate all’acqua con il nome antico di Tatsu (in kanji 龍), ma chiamati anche ryū, ryō o wani, oltre che nomi propri. I Draghi hanno corpi lunghi tipo serpenti, con squame e spesso con corna, baffi e barba sulla loro faccia; rispetto all’iconografia cinese che li rappresenta con 5 artigli, quella giapponese normalmente li ritrae solamente con tre. Nel Kojiki, il più antico testo di narrativa giapponese conosciuto, viene raccontata la leggenda di Yamata no Orochi, un drago con otto teste e otto code che aveva sottomesso l’intera regione di Izumo, chiedendo in dono delle fanciulle vergini agli abitanti e offrendo in cambio la non devastazione.[7] Molti draghi arrivano in Giappone dalla Cina: curiosamente, durante la seconda guerra mondiale l’esercito giapponese diede il nome di alcuni draghi cinesi agli armamenti (Koryu a un sommergibile, Shinryu a aereo kamikaze); la 56° divisione di un esercito imperiale venne chiamata Divisione Drago (per una beffa del destino fu sconfitta nella città cinese di Longling, il cui nome significa la “tomba del drago”!).
La diffusione del buddhismo in Giappone comportò anche che i primi monaci asiatici portarono con loro anche le tradizioni che riguardavano i draghi, trasmettendo la mitologia buddhista e indù. Tra gli esempi più notevoli: Naga, la divinità pioggia, protettore del Buddismo; Nagaraja, il re drago; Hachidai Ryuo, otto creature generate per ascoltare il Buddha esporre il Lotus Sutra (drago che ripreso da tantissimi motivi artistici). In tutto il Paese sono disseminati santuari e templi dedicati ad essi.
Il Druk (in dzongkha: འབྲུག) è il Drago del Tuono della mitologia tibetana e bhutanese, nonché simbolo nazionale di quest'ultimo stato. Il drago, che dá il nome al paese (in tibetano Druk Yul = terra del drago tonante), è infatti l'elemento centrale delle bandiere del regno del Bhutan. In Asia, quindi, il drago è un benefico animale celeste e se è alato è cavalcatura degli dei; è Lung-wang, la nuvola che feconda la terra, segno di fertilità: assai note sono le processioni rituali al tempo del raccolto, in cui i contadini fanno sfilare lunghi dolcissimi dragoni di carta e stoffa dipinta.
Il drago possiede la capacità di assumere molte forme, che sono però imperscrutabili. Bisogna partire da qui: da questo drago-caos (o drago-inconscio?) che però è signore degli stati mutevoli dell’essere. Potenzialità ancestrale, il drago avvolge nelle sue spire l’intero cosmo; e non per caso gli antichi geografi raffigurano talvolta l’oceano come un enorme serpente circolare. se può assumere molte forme, ciò dipende dal fatto che egli potenzialmente le possiede e le domina.
J.L. Borghes, M. Guerrero, El libros de loso series imaginarios
Degna di riflessione è anche la concezione del drago come ‘guardiano della soglia’, dei luoghi nascosti che custodiscono tesori.[8] Sfidarlo e superare la barriera che costituisce, ha valore di rito iniziatico. Nel drago, coesistono tutti gli elementi: l’aria, nella quale vola, la terra, nella quale si rifugia, l’acqua dalla quale proviene e il fuoco che lo protegge.[9] Forse per questo rappresenta la conoscenza massima su tutto il creato. Nelle popolazioni antiche, chi doveva sconfiggere il drago (domarlo più che ucciderlo), doveva trasformare se stesso per raggiungere la conoscenza, vista come una soglia da oltrepassare. Il drago, infatti, è spesso raffigurato come il guardiano sotterraneo dei tesori, anche di quelli che abbiamo dentro di noi. Il drago può essere interpretato anche come agente di protezione, nel senso di preservare la nostra interiorità da intrusioni. Ogni cultura dunque non ha potuto mancare di rappresentare la lotta col drago, proprio perché questa è l'immagine archetipica stessa del conflitto tra l’io-coscienza e l'inconscio con le sue forze devastatrici, scontro questo che può persino costituire una minaccia alla vita stessa.[10]
Se Jung intuisce nel drago l'Ombra dell'individuo, ovvero quegli aspetti della personalità che vengono repressi e messi da parte per conformarsi alle regole sociali, è ovvio che ritiene questa potente e suggestiva rappresentazione un simbolo degli istinti umani primari più arcaici e meno evoluti, simbolo della forza primordiale e della pulsione distruttiva: ecco la divorante e bruciante forza del drago/istinto, materiale e corporeo, che l'uomo/eroe deve imparare a dominare e vincere. Al contrario, Sigmund Freud ha interpretato il drago come un simbolo del desiderio sessuale represso e della libido. Tuttavia, in entrambe le teorie, il drago rappresenta una forza primordiale e irrazionale che deve essere integrata e assorbita per raggiungere la completa individuazione. La sua presenza nei sogni, nei miti e nelle leggende può avere diversi significati psicologici, tra cui l'esplosione della creatività, la trasformazione personale, la liberazione dalle paure e le sfide da affrontare. Quindi non solo l'arcangelo Michele, san Giorgio, sant’Andrea, santa Marta, o ancora Ercole o chi per lui hanno dovuto affrontare il drago, ma ognuno di noi è chiamato prima o poi a farlo, quasi a dover superare una prova iniziatica: solo chi avrà il coraggio di fronteggiare questo momento perturbante, estraniante e terrorizzante insieme, causa di apprensione ineffabile, potrà imparare a dominare la sua istintualità, evolvendosi spiritualmente e psichicamente, maturando insomma, e tornando, purificato e trasformato alla quotidianità. È questo il senso più profondo del Drachenkampf, la “battaglia con il drago”: la vittoria su se stessi e sulle pulsioni più abiette dell’io.[11]
© all rights reserved
note
[1] Quanto poi al suo colore, accanto al realistico verde che richiama i rettili ma anche l’aria l’acqua e la terra, la tradizione cinese da una parte e celtica dall’altra, conoscono anche draghi bianchi e rossi: e se ne ricorderà il simbolismo alchemico.
[2] Connesso col verbo δέρκεσθαι (dèrkesthai) “guardare”, “che guarda lontano”, probabilmente in connessione ai poteri legati allo sguardo di queste bestie o alla loro presunta vista acutissima. Sia nel sanscrito che nell’antico indiano si rileva: dragh-ayami, allungare.
[3] Sette in questo testo, che si avvale di un linguaggio altamente simbolico, allude alla pienezza e alla completezza (sette sono i doni dello Spirito Santo, sette i sacramenti, sette le opere spirituali, sette le Chiese dell’Asia minore, sette i sigilli da sciogliere, sette le coppe da rovesciare, sette le beatitudini); ogni settenario si conclude collegandosi a quello successivo. Il dieci delle corna sottintende i dieci regni o i dieci re, come a magnificare una potenza vasta e duratura.
[4] A Portofino, in Liguria, si venerano le reliquie del santo.
[5] Nella Sigurdhsaga, il cuore e il sangue del drago Fafnir, ingeriti dal vincitore Sigurdh, gli daranno il dono d’intendere il linguaggio degli uccelli, ossia gli procureranno la sapienza che deriva dalla vittoria su se stessi e sulla parte più oscura e ferina di sé.
[6] Drago nel carattere tradizionale 龍, carattere semplificato 龙 , si pronuncia lóng, ma ne esistono cinque tipi con nomi diversi: Qinglong(青龙), che rappresenta l'Est ed è il più potente tra i draghi. È anche chiamato Canglong ed è l’incarnazione della primavera, in cui la vegetazione cresce e tutto si rinasce, per questo è un drago di buon auspicio; Ailong (白龙), che rappresenta l'Ovest ed è un drago buono. Si crede sia lui a far nevicare grazie al respiro gelido che esce dalle sue narici; Chilong (赤龙), che rappresenta il Sud (più di tutti assomiglia ai mostri della tradizione medievale europea, sputa fuoco dalle narici ed è aggressivo); Heilong (黑龙), dal temperamento violento e per questo associato spesso a tempeste e inondazioni; Jinlong (金龙), simbolo dell'imperatore per eccellenza, rappresenta anche fortuna e successo.
[7] Per approfondire: https://www.vadoingiappone.it/informazioni-cultura-giapponese/draghi-creature-mitologiche-del-folklore-giapponese/
[8] Nella saga dei Nibelunghi, ma anche nella tradizione Valdostana, esiste questa visione del drago che porta un gioiello come terzo occhio, spesso uno smeraldo. Questo gioiello dovrà essere conquistato. Un tempo il gioiello rappresentava la saggezza, la conoscenza e questo mito è forse una delle più antiche forme del mito del Graal. Con il tempo, però, il gioiello è diventato non più la forma di conquista spirituale, quanto la pura ricchezza materiale. Da qui nascono i grandi tesori dei draghi di cui molti libri e leggende parlano; anche Tolkien ne ‘Lo Hobbit’ lo fa.
[9] Nelle versioni più antiche il Drago riunisce in sé i simboli del serpente e dell’uccello, la terra e il cielo, la materia e lo spirito, le due forze fondamentali del nascere e del morire, del crescere e del deperire, dell’avvolgere e dello svolgere.
[10] Il drago di terra rappresenta il Subconscio; il drago d’acqua, l’Inconscio; il drago di fuoco, l’Io, la Coscienza del Sé; il drago d’aria la Super-coscienza.
[11] In alchimia, il Drago è identificato con il Mercurio. Il nostro emotivo drago interiore distrugge la nostra coscienza vergine, come quando appare nel conscio esprimendo negatività quali l’invidia, la gelosia, l’odio, ecc. Metaforicamente è il drago nero solfureo, che nasconde una bianca principessa al suo interno (la purezza della coscienza), che deve essere liberata, così come nelle favole il prode cavaliere giunge a liberare la bella principessa prigioniera. Il cavaliere, simboleggiato dallo zolfo (principio igneo), assume molti ‘aspetti allegorici’: è Ares/Marte, Cadmo, Perseo, Ercole, Longino, San Giorgio… Il drago morto subisce una trasmutazione. La morte del drago non è una fine, ma l’inizio della Grande Opera a mezzo della Vergine Bianca (Albedo). L’uccisione del drago richiama anche un evento cosmico. È la penetrazione della materia prima come oceano primario, o caos primario del fuoco segreto o spirito divino. Dalla testa morta del Drago dovrà rinascere lo Spirito divinizzato, La separazione della prima opera deve ora divenire unione delle due opposte nature per dare origine all’androginia, la perfetta fusione tra maschio-femmina, tra Dio e l’uomo, risultato della Seconda Opera da cui nasce il mercurio filosofico differente dal mercurio dei saggi che lo ha generato. Cfr. Lavinia Pinello in https://hyperborea.live/2017/05/30/il-drago-tra-mito-e-simbologia/
Bibliografia
“La Sacro Bibbia”, ed. Marietti, Milano, 1961
A. Cattabiani, M. Cepeda Fuentes, “Bestiario di Roma”, Newton Compton ed, Roma, 1986
Enciclopedia Italiana Treccani, alla voce “drago'
“Drago tra scienza e leggenda”, Museo Civico di Storia Naturale G. Daria, Genova, Sagep, 1995
U. Cordier, “Guida ai draghi e mostri in Italia”, Sugorco ed., 1986, Milano
D. Cinti, “Dizionario Mitologico”, Tascabili Sanzogno, Cles, 1989
F. Cardini, “Mostri, Belve, Animali Nell’immaginario Medievale”
'Bibliotheca Sanctorum”, alla voce “S. Giorgio', Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Città Nuova Edizioni, 1967, Roma